America Latina. Focus Brasile 2016

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A cura di William Bavone
william.bavone@libero.it

Nome ufficiale: República Federativa do Brasil
Lingua ufficiale: Portoghese
Capitale: Brasilia
Forma di governo: Repubblica presidenziale federale
Presidente in carica: Michel Temer
Superficie: 8.515.770 km2
Popolazione: 207.847.528 ab.
Valuta: Real brasiliano
PIL: 1.774,225 miliardi $
Agricoltura: 5,2%
Industria: 22,7%
Servizi: 72,1%
Export: 13%
Import: 14,3%
Tasso di crescita: -3,8%
Inflazione: 8%
Tempistica avvio business: 79,5 giorni


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SITUAZIONE POLITICA

Uno dei Paesi che ha vissuto senza alcun dubbio un anno turbolento è il Brasile che, dopo la crisi di governo, arriva alla conclusione del 2016 con non poche polemiche. Tutti ricordano i discussi Mondiali di Calcio 2014 e la mediatica ridondanza delle proteste contro l’operato del governo nell’allestimento di tale evento. Tutto finito? Non proprio, visto che il 2015 ha traghettato il Paese nella spirale di una recessione economica, figlia soprattutto di opere d’investimento che hanno inciso negativamente sui conti pubblici.
Tuttavia c’è da chiedersi – con il senno di poi – quanto fosse realmente discutibile la scelta di Brasilia di investire all’interno e all’esterno del Paese, visto che alla base dell’internazionalizzazione vi è proprio lo spirito di farsi protagonista attivo nel dinamismo economico. In linea di massima, infatti, alle spese di investimento, se oculatamente programmate, corrisponde un valore positivo economico-sociale nel futuro. Eppure, il 2016 ha caratterizzato negativamente il Brasile, che ha visto il rapido declino del progetto politico legato al Partito dei Lavoratori (PT), fino all’esautorazione di Dilma Rousseff dello scorso agosto. Sulla Presidenta hanno pesato gli scandali connessi ai casi di corruzione che si sono susseguiti nell’ultimo anno, coinvolgendo ogni partito politico, fino a mettere sul banco degli imputati addirittura il leader storico del principale partito di governo, Lula da Silva.
L’anno si era già aperto con l’accusa nei confronti della Rousseff, rea di aver falsato i bilanci pubblici del 2014 e 2015. Un’accusa grave che ha animato il dibattito nel Paese sino al crollo della maggioranza politica, con lo strappo tra il PT e il Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB). Si è trattato di un duro colpo per la Rousseff, ritrovatasi con l’ostilità del suo vice Michel Temer, esponente del PMDB, e l’avanzamento ufficiale in sede parlamentare dell’accusa di impeachment. La leadership, dunque, non poteva più contare su una maggioranza solida in parlamento a tutela della stabilità di governo, mettendo in estrema difficoltà la presidentessa eletta. Si è così giunti, alla fine di agosto, alla definitiva destituzione, a seguito della quale lo stesso Michel Temer ha assunto la presidenza della Repubblica ad interim.
Finisce qui, almeno per ora, un progetto politico che durava dal 2002 e che era riuscito a fare del Paese una potenza emergente del nuovo ordine internazionale. Il Brasile socialdemocratico ha probabilmente pagato quello che è essenzialmente un fenomeno abbastanza diffuso all’interno del continente latino-americano, ovvero il clientelismo e la corruzione, a prescindere dal reale coinvolgimento dei suoi massimi esponenti nei fatti loro contestati. La quasi certa estraneità di Lula o di Dilma Rousseff a questi fatti, dal punto di vista dell’opinione pubblica non ha potuto molto dinnanzi ai reati compiuti da funzionari e dirigenti, malgrado una simile struttura clientelare possa arrivare a coinvolgere, a macchia d’olio, un po’ tutti, opposizione compresa.
Ora, però, c’è molta incertezza. Temer, anch’egli in forte crisi di consenso, ha in programma un nuovo piano di innovazione economica e di riduzione dei costi dello Stato. Tuttavia, se agli annunciati tagli della spesa pubblica non seguiranno importanti riduzioni fiscali a favore di imprese e famiglie, la recessione rischia di entrare in un circolo vizioso.


PROSPETTIVE ECONOMICHE

Fermo restando il principio garantista, sul piano politico è opportuno andare anche oltre rispetto a quanto di recente emerso a livello giudiziario per analizzare il processo di crescita che ha interessato il Paese nel corso degli ultimi anni, in termini di lotta alla povertà, riqualificazione delle favelas, integrazione (ancora non pienamente compiuta), di avanzamento nelle regioni settentrionali, in passato emarginate, di implementazione del servizio sanitario di base e di protagonismo a livello regionale e internazionale. Questo e molto altro è stato il Brasile socialdemocratico di Lula e Dilma, ed ora spetta a Temer raccoglierne l’eredità governativa e proseguire un percorso dove ancora c’è molto cammino da fare. Restano dubbi sulla strategia del PMDB, viste l’instabilità e l’incertezza che ne hanno guidato le decisioni assunte durante l’anno. Resta il fatto che Temer ha l’arduo compito di amministrare una difficile situazione economica, proponendo un drastico cambiamento del progetto di governo che, sin dalle sue prime battute, sembra volgere decisamente verso un approccio neoliberale e ben lontano, quindi, dal socialismo lulista.
La bilancia commerciale del Brasile vede affievolirsi il proprio trend positivo. Ovviamente, questo ridimensionamento deriva anche dalle problematiche affrontate da partner come l’Argentina e il Venezuela, ma anche dagli Stati Uniti e dall’Europa. Non tutto deriva dunque da una mancanza di iniziativa, nonostante le notevoli barriere in ingresso. Proprio questa struttura è stata al centro delle discussioni sulla possibile sottoscrizione di un accordo di libero scambio commerciale con l’intero continente americano (ALCA). Il trattato, fortemente promosso dall’amministrazione statunitense ai tempi di George W. Bush, subì un deciso stop nel 2005, quando l’asse Brasilia-Buenos Aires-Caracas si rifiutò di accoglierne i contenuti. A far discutere furono soprattutto le questioni riguardanti il comparto agroindustriale, che dal lato sudamericano venivano fortemente compromesse a causa della configurazione di un aumento unilaterale della competitività di beni provenienti dal mercato nordamericano: un fattore non di poco conto, in virtù dell’importanza del settore agricolo nell’export sudamericano tanto che, nel caso specifico del Brasile, parliamo del 35,8% sul totale dei beni riversati fuori dai propri confini.
Altro settore vitale per le casse del paese carioca è quello energetico dove, oltre al petrolio (9,75% dell’export), spicca il biodisel, ovvero il risultato della trasformazione della canna da zucchero in combustibile alternativo ai più tradizionali carburanti. Per quanto riguarda i mercati di riferimento, Brasilia evidenzia un’alta diversificazione dei partner commerciali. Al primo posto c’è la Cina, che assorbe il 18% dell’export del Paese e ne costituisce al contempo il 16% delle importazioni. Seguono gli Stati Uniti, che evidenziano una bilancia commerciale a proprio favore in termini percentuali con il 15% di impatto sulle importazioni di Brasilia rispetto all’assorbimento del 12% dell’export brasiliano. Stesso discorso per la Germania, che rappresenta il 6% delle importazioni brasiliane ed il 3,6% del suo export. Nella regione latino-americana, invece, è l’Argentina a costituire il principale partner commerciale del Paese lusofono: Buenos Aires fornisce il 6,1% dei beni importati dal Brasile, assorbendo il 6,3% di quelli esportati.

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OPPORTUNITÀ PER L’ITALIA

L’Italia incide per l’1,7% sull’export del Brasile e per il 2,8% sulle sue importazioni. L’ampiezza dei margini per l’incremento dell’interscambio commerciale vale anche per gli investimenti in questo Paese. In particolare, il Nord ed il Nord-Est del Brasile offrono grandi opportunità in questo senso, alla luce delle necessità strutturali per queste regioni di ricongiungersi al ciclo economico attivo del Paese. Manifattura, infrastrutture e macchinari potrebbero essere al centro di programmi di investimento italiano così come l’approfondimento del concetto di smart-city quale valore aggiunto di un’area molto vasta, da riqualificare nel suo sviluppo.
Per nuovi investimenti di medio-lungo periodo, l’attivazione di una programmazione concreta va probabilmente rimandata al 2018, quando le nuove elezioni presidenziali forniranno una maggioranza più solida al governo del Paese. Attualmente, il Brasile non offre la stabilità necessaria a tutela dell’investimento. Il recente cambio al vertice non ha, infatti, una precisa proiezione che vada oltre il 2018, anno in cui le elezioni potrebbero riscrivere il quadro politico nazionale. È dunque consigliabile una posizione wait-and-see, ovviamente pro-attiva, in cerca di risposte nel prossimo futuro.
Tra i settori da tenere d’occhio ci saranno i programmi di sviluppo che potrebbero interessare le zone rurali settentrionali. Per ora, molto sembra bloccato e ad apparire più concreta nel breve periodo è la possibilità di investire capitale in quote azionarie di aziende pubbliche che potrebbero aprirsi al capitale privato.




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