Ad oltre un mese dall’inizio delle nuove ostilità nella tesissima regione occupata dalle forze armene, abbiamo contattato l’Ambasciatore dell’Azerbaigian in Italia Mammad Ahmadzada per capire non solo le ragioni di Baku nell’ormai trentennale conflitto ma anche il progetto per la piena reintegrazione del Nagorno Karabakh nel Paese, che prevede autonomia locale e coesistenza interetnica. Secondo l’Ambasciatore, anche l’Italia, partner strategico multidimensionale dell’Azerbaigian, può offrire un suo contributo in questo senso. Roma deve inoltre guardarsi dal rischio di una possibile interruzione delle forniture energetiche, già prese di mira dalle forze armene nel luglio scorso, durante l’attacco contro l’area di Tovuz.
A cura della Redazione
S.E. Ahmadzada, bentornato su Scenari Internazionali. Dopo l’incidente di Tovuz del luglio scorso, dal 27 settembre è riesploso il conflitto anche nel Nagorno Karabakh, da oltre trent’anni al centro di una contesa tra l’Azerbaigian, che pretende di esercitare una legittima sovranità su quei territori, e le forze separatiste locali di etnia armena. Cosa è successo e sta accadendo esattamente sul campo di battaglia da ormai oltre un mese?
Ringrazio la Vostra testata per l’interesse al tema. Vorrei innanzitutto chiarire ancora una volta che il Nagorno Karabakh è una terra storica dell’Azerbaigian, riconosciuta a livello internazionale. Il conflitto del Nagorno Karabakh è tra Armenia ed Azerbaigian, non ci sono altri soggetti implicati. Le truppe militari dell’Armenia occupano, da circa trent’anni, non solo il Nagorno Karabakh, ma anche sette distretti adiacenti dell’Azerbaigian, che prima del conflitto erano popolati esclusivamente da azerbaigiani. Invece, il Nagorno Karabakh, prima dell’occupazione, era abitato da entrambe le popolazioni, armena e azerbaigiana.
Inoltre, in alcune parti dello stesso Nagorno Karabakh, gli azerbaigiani costituivano l’assoluta maggioranza. Tra queste c’è la città di Shusha, culla della cultura azerbaigiana, dove addirittura la popolazione azerbaigiana costituiva il 98% del totale. Ci sono molti nomi illustri dell’Azerbaigian provenienti proprio da Shusha, come il poeta Vaqif, la poetessa Natavan e Khan Shushinski, grande cantante di Mugham, genere musicale popolare dell’Azerbaigian, che ha le sue radici proprio a Shusha, nonché patrimonio immateriale dell’umanità dell’UNESCO. Per questo, Shusha è considerata il conservatorio dell’Azerbaigian. Un’altra prova dell’appartenenza del Nagorno Karabakh al nostro Paese risiede nel capoluogo, la città che gli armeni chiamano Stepanakert. Il suo nome originario è Khankendi e fu fondata nel XVIII secolo come residenza del Khan azerbaigiano del Karabakh, una sorta di “duca” azerbaigiano. Questo nome fu modificato nel 1923, in epoca sovietica, come tributo al bolscevico di origine armena Stepan Shaumyan. A causa dell’occupazione, poi, tutti gli azerbaigiani presenti sia in Nagorno Karabakh che nei distretti adiacenti sono stati espulsi, e l’Azerbaigian conta circa 1 milione di rifugiati e profughi causati da questa pulizia etnica ad opera dell’Armenia.
Per venire agli avvenimenti delle ultime settimane, il 27 settembre le forze armate dell’Armenia hanno attaccato zone ad alta densità abitativa sulla linea del fronte. L’Azerbaigian ha dovuto avviare una controffensiva militare, usando il diritto di autodifesa, per imporre all’Armenia la pace, che prosegue ancora oggi. Il 10 ottobre è entrato in vigore un primo cessate il fuoco umanitario. La posizione dell’Azerbaigian era che si trattasse di un cessate il fuoco umanitario, per poter scambiare i corpi delle vittime, gli ostaggi e i prigionieri. Tuttavia, meno di un giorno dopo, l’Armenia ha violato in modo flagrante ed insidioso il cessate il fuoco bombardando di notte la seconda città più grande dell’Azerbaigian, cioè Ganja, a 100 km di distanza dalla zona del fronte. Il 17 ottobre è stato dichiarato un nuovo cessate il fuoco ma, ancora una volta, l’Armenia lo ha rotto due minuti dopo. La città di Ganja è stata di nuovo il bersaglio di cluster bomb sganciate dalle forze armene sempre di notte. Il 26 ottobre è arrivata l’ennesima proposta, nuovamente violata con un attacco sul distretto di Barda, lontano dalla zona di conflitto, con l’utilizzo di cluster bomb sia il 27 sia il 28 ottobre, che hanno ucciso 25 civili, inclusi alcuni bambini, ferendone più di altri 100.
Ad oggi, l’Azerbaigian piange in totale 91 civili uccisi e 392 feriti. Un’enorme quantità di edifici civili sono stati danneggiati. Numerose città azerbaigiane attaccate dal fuoco dell’Armenia sono ben lontane dalla zona del conflitto. Amnesty International ha confermato l’utilizzo da parte dell’Armenia su Barda di bombe a grappolo 9N235 Smerch, che hanno colpito un quartiere residenziale vicino ad un ospedale. L’Armenia sta compiendo crimini militari crudeli e spietati. Siamo di fronte ad un genocidio verso il popolo azerbaigiano. Le azioni dell’Armenia costituiscono una forma di terrorismo di Stato. Quanto sangue di civili innocenti deve essere ancora versato? Ci aspettiamo una condanna internazionale per questo.
L’autogoverno del cosiddetto Artsakh, pur privo di qualsiasi legittimità internazionale, potrebbe essere riconosciuto dal governo armeno per la prima volta nella storia di questa guerra. Cosa cambierebbe questa mossa da parte di Yerevan? Esiste il rischio di un allargamento del conflitto?
Bisogna chiedere alla leadership armena, che supplica miseramente al mondo di riconoscere il regime illegale fantoccio, la cosiddetta “repubblica del Nagorno-Karabakh” o “repubblica dell’Artsakh”, perché l’Armenia stessa non ha avuto il coraggio di riconoscerlo. Tutti sanno che questo regime illegale non è nient’altro che una creatura armena per mascherare la sua aggressione contro l’Azerbaigian e la pulizia etnica che ha commesso contro gli azerbaigiani nei territori occupati.
Qualsiasi pressione l’Armenia possa fare sulla comunità internazionale, quali che siano le fake news che metterà in circolazione, la natura di questo regime, che nasce illegalmente sulle nostre terre, in contrasto con il diritto internazionale, non cambierà. Tutta la comunità internazionale riconosce il Nagorno Karabakh come parte dell’Azerbaigian. Ciò viene riconfermato anche dalle pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che chiedono il ritiro immediato, totale ed incondizionato delle forze armate dell’Armenia dai nostri territori, e che rimangono inascoltate. Dopo quasi trent’anni di stallo nei negoziati, lo status quo viene modificato e l’unica condizione perché si attui un cessate il fuoco è che l’Armenia presenti un piano di ritiro delle sue forze armate dai nostri territori. Senza questo piano è impensabile ipotizzare una fine delle ostilità.
Questo, come dicevo, è un conflitto che oppone solo Azerbaigian e Armenia, e non ci sono altri attori. Le accuse che ci sono state mosse, e alle quali continuiamo da settimane a rispondere, per esempio sul coinvolgimento della Turchia o di altri soggetti, sono un falso. Il sostegno della Turchia è solo morale nei nostri confronti. L’obiettivo dell’Armenia nello scatenare questa falsità è coinvolgere terze parti ed allargare l’area del conflitto. Sicuramente possiamo però dire che il conflitto del Nagorno Karabakh porta ad un’instabilità nell’intera regione. L’Armenia ha tentato di prendere di mira le infrastrutture strategiche dell’Azerbaigian, incluse quelle di trasporto di petrolio e gas verso il mercato internazionale. Questi atti irresponsabili pongono a rischio la sicurezza energetica anche di Paesi terzi, che hanno un rapporto con le forniture di gas e petrolio dell’Azerbaigian, come nel caso dell’Italia stessa.
Proprio in Italia, le considerazioni della politica e di diversi organi di stampa sono state superficiali e contraddittorie, mostrando i gravi limiti di una generale impreparazione di fronte a tutti quei temi complessi che fuoriescono dai confini nazionali ed europei. Il presidente Aliyev ha voluto smentire ufficialmente le voci che indicavano un coinvolgimento diretto della Turchia o addirittura di combattenti islamisti siriani sul fronte di guerra del Nagorno Karabakh. In realtà, da consolidata tradizione diplomatica, Baku mantiene ottimi rapporti sia con Ankara che con Mosca. Crede che questi due attori possano fornire un contributo esterno per la risoluzione della crisi?
Ci aspettiamo un contributo internazionale per la soluzione del conflitto, ma questo deve prevedere la condanna dell’occupazione militare dell’Armenia, la pressione perché Yerevan ritiri le sue forze di occupazione, e la condanna anche di tutti gli atti criminali che da oltre un mese sta compiendo contro i civili azerbaigiani.
L’Azerbaigian ha forze armate ben equipaggiate ed addestrate, e questo è garantito dal sistema economico solido che il mio Paese ha costruito in questi anni. L’Azerbaigian è uno dei Paesi che contribuisce alla lotta al terrorismo internazionale. Qualcuno, in ambito internazionale, sta chiedendo all’Armenia da dove provengono le armi che sta utilizzando per attaccarci? In questi giorni, l’esercito dell’Azerbaigian ha distrutto attrezzature militari delle forze di occupazione dell’Armenia del valore di miliardi di dollari.
Dove li ha presi l’Armenia, Paese indebitato e in bancarotta? L’Armenia ha pagato per queste armi? I cittadini e i contribuenti dei Paesi che producono quelle armi sanno che l’Armenia non è in grado di pagare per quelle forniture? Perché i media internazionali tacciono su questo e anche sui combattimenti di numerosi mercenari e membri di organizzazioni terroristiche internazionali come Asala, PKK e altri dalla parte armena? Nonostante il presidente dell’Armenia ed altri alti funzionari armeni ammettano che mercenari da altri Paesi stanno combattendo dalla loro parte, nessuno accusa l’Armenia per questo. Il contributo della comunità internazionale tutta, e non solo di alcuni Stati, deve volgere alla giustizia, al rispetto del diritto internazionale, al ripristino dell’integrità territoriale, senza la quale non ci potrà mai essere né pace né sicurezza nella regione.
Che la regione teatro del conflitto sia riconosciuta a tutti gli effetti territorio azerbaigiano dal diritto internazionale è conclamato da molto tempo. Tuttavia non si è ancora mai riusciti a superare definitivamente il cessate il fuoco del 1994. Qual è la soluzione proposta dall’Azerbaigian per la normalizzazione e la piena reintegrazione del Nagorno Karabakh nel Paese?
Noi chiediamo la liberazione di tutti i nostri territori occupati. Poi il ritorno di rifugiati e profughi alle loro terre, inclusa la regione azerbaigiana del Nagorno Karabakh. Sapete che in tutti questi anni, i nostri profughi non hanno potuto neanche visitare le tombe dei propri familiari in quelle aree?
Ci sono dei cittadini azerbaigiani, nelle carceri dei territori occupati, catturati proprio mentre portavano un fiore sulla tomba dei propri parenti. L’Azerbaigian non ha problemi con il popolo armeno, ma con l’esercito di occupazione. Gli armeni furono trasferiti nei nostri territori, incluso il Nagorno Karabakh, dopo il 1828, come risultato della guerra tra Russia ed Iran e da circa duecento anni gli armeni vivono nei nostri territori, e potranno viverci anche in futuro, rispettando l’integrità territoriale del nostro Paese che, già prima del conflitto, garantiva agli armeni del Nagorno Karabakh uno standard di vita molto alto.
Oggi, più di 30.000 armeni vivono in Azerbaigian, al di fuori del Nagorno Karabakh, ed esiste persino una chiesa armena nel centro di Baku. Vivere nel Nagorno Karabakh non è solo un diritto degli armeni ma anche degli azerbaigiani, che vi sono stati espulsi con la forza e da trent’anni non possono farvi ritorno. Dopo la liberazione dei nostri territori dalle forze militari di occupazione dell’Armenia potremo tornare a vivere insieme con gli armeni anche nel Nagorno Karabakh. In questo senso l’Italia, con il modello del Trentino-Alto Adige, può offrire il suo contributo.
Secondo una citazione attribuita all’economista e filosofo francese Frédéric Bastiat, laddove non passano le merci passano gli eserciti. Capovolgendone il paradigma, potremmo dire che dove passano le merci non passano gli eserciti. Qualora fosse definitivamente riconosciuta anche da parte dell’Armenia l’appartenenza del Nagorno Karabakh all’Azerbaigian, questo potrebbe dare il via alla costruzione di una forte autonomia locale che tuteli gli abitanti di etnia e lingua armena? La regione, vista la sua posizione strategica nel cuore del Caucaso Meridionale, potrebbe godere di un particolare status di zona economica speciale?
Ciò che mi sento di poter dire è che sicuramente il ripristino dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian permetterebbe alle terre, liberate dalle forze di occupazione militare, di avviare un’importante ripresa economica. Sarebbero attraversate dagli stessi progetti infrastrutturali che hanno guidato il progresso economico del mio Paese dall’indomani del ripristino dell’indipendenza e anche l’Armenia vivrebbe un’integrazione nei progetti geostrategici regionali, di cui potrebbe beneficiare direttamente.
Purtroppo, la leadership armena, prima responsabile dello stallo dei negoziati e adesso della guerra in atto, non aspira alla pace, e la barbarie verso il mio popolo, la cui ultima dimostrazione sono state le bombe contro i civili a Ganja, Barda e Tartar, ne è una prova. È impossibile aspettarci da questa leadership un atteggiamento positivo nei confronti di un altro popolo, quando non si cura nemmeno del proprio ed invia deliberatamente i suoi giovani a morire nella terra di un altro Paese, pur sapendo molto bene che perderà questa guerra. Si vede che purtroppo la leadership armena non ha tratto conclusioni adeguate da quanto accaduto dal 27 settembre fino ad oggi.
Anziché invocare la pace, il primo ministro del Paese occupante nasconde la verità al suo popolo e rilascia dichiarazioni che infiammano il conflitto. La parte armena deve preoccuparsi del fatto che la rivelazione di tutte le falsità che racconta oggi, investe anche tutto ciò di cui ha cercato di convincere il mondo rispetto al suo passato. Il popolo armeno deve finalmente comprendere che solo la pace con l’Azerbaigian e le normali relazioni con il mio Paese possono aprire prospettive positive per l’Armenia e per il proprio bene, deve riconoscere i propri errori, smettere di vittimizzarsi, iniziare a vivere in armonia con i vicini e lasciare in pace il resto del mondo.
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