Brasile. Apex-Brasil rilancia indagine su grado e scopi di internazionalizzazione delle imprese attive all’estero

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di Redazione

Apex-Brasil, l’agenzia governativa dedicata all’internazionalizzazione delle imprese brasiliane, ha rilanciato in settimana l’ultimo rapporto generale sulla proiezione all’estero delle aziende del Paese, presentato lo scorso giugno durante il Forum delle Imprese Multinazionali organizzato dalla Confederazione Nazionale dell’Industria (CNI). Al di là della fase di instabilità politica vissuta a Brasilia lo scorso anno e malgrado il piano di austerità approntato dal presidente Michele Temer, che ha ridotto notevolmente l’inflazione ma al contempo ha accelerato l’aumento della disoccupazione, sembra essere in crescita il clima di fiducia delle imprese in Brasile e la loro capacità di guardare all’estero.

Va sottolineato che il rapporto di Apex-Brasil è il risultato di un’inchiesta effettuata tra gennaio e marzo del 2016, attraverso l’invio di un questionario a tema ad un campione di 816 imprese, delle quali soltanto 229 avevano riconsegnato la documentazione completa. Si tratta dunque di dati che, nella loro generalità, fotografano un periodo di tempo anteriore all’avvio della procedura di impeachment nei confronti di Dilma Rousseff ma posteriore all’inizio delle prime inchieste sull’attività di alcuni esponenti della maggioranza per il caso Petrobras, e comunque nel quadro di una spirale recessiva iniziata già nel 2014.

Nel corso dell’ultimo decennio, grazie anche all’ascesa del ruolo globale svolto dal Brasile nell’ambito del gruppo BRICS, la consapevolezza delle aziende carioca è cresciuta nettamente, tanto che l’83,6% ritiene che l’espansione internazionale delle imprese sia un fattore molto importante, il 15,2% mediamente importante e soltanto l’1,2% poco importante. Al momento, tuttavia, soltanto il 62% ha intenzione di aprire nuovi centri operativi propri (stabilimenti, centri di distribuzione, punti vendita, servizi post-vendita ecc. …) all’estero nei prossimi tre anni, mentre il 38% non andrà oltre la semplice attività di esportazione o non espanderà ulteriormente la propria presenza all’estero.

Al momento del sondaggio, infatti, appena il 17,9% delle aziende intervistate aveva un proprio stabilimento all’estero, mentre il 38% – quasi il doppio – svolge attività di sola esportazione. Le forme dominanti di presenza all’estero per le imprese brasiliane restano l’ufficio commerciale (40,2%) e l’assistenza post-vendita (20,1%). Più indietro la presenza di centri di distribuzione commerciale (18,8%). Ancora molto bassi sono invece i dati relativi al trasferimento tecnologico e alla produzione locale all’estero.

I motivi per cui le imprese brasiliane che si stanno espandendo all’estero vedono sempre più di buon occhio l’internazionalizzazione sono svariati. Eppure, complice la paura per gli scossoni provocati dalla crisi nazionale e dal rallentamento del commercio globale, gli obiettivi principali sono chiari: vendere di più (72,7%), diversificare i rischi (65,3%) e proteggersi dall’incertezza del mercato interno (61,3%). Le percentuali scendono quando si passa da questi criteri di breve periodo, legati alla preoccupazione, a criteri di medio-lungo periodo, legati all’intenzione di migliorarsi, quali ad esempio la ricerca di nuovi clienti globali (57,3%), l’innovazione dei propri prodotti o servizi (51,3%) e l’incremento dell’efficienza nei processi di impresa (48%). Ovviamente, la forbice tra i fattori di breve e quelli di medio-lungo periodo si allarga se si prendono in esame le aziende che stanno ancora puntando soltanto sull’export o semplicemente mantenendo le proprie attività in essere.

Dove vogliono espandersi le imprese attive all’estero? Principalmente negli Stati Uniti, dove vorrebbe investire il 68,8% degli intervistati. Tuttavia, in questo caso ci sarà da fare i conti con l’incognita Trump: le politiche protezioniste annunciate dal nuovo inquilino della Casa Bianca erano ancora impensabili al tempo in cui Apex-Brasil aveva dato il via al sondaggio, ma ora potrebbero costringere molte aziende brasiliane a rivedere i propri piani all’estero. Tra le altre mete preferite, troviamo, molto più distanziate, destinazioni regionali come Colombia (23,4%), Messico (21,3%), Argentina (17,7%), Paraguay (14,9%), Perù (14,2%) e Cile (12,1%), tutti Paesi dove poter sfruttare al meglio la vicinanza geografica e i rapporti consolidati a vario livello nell’alveo del Mercosur. Fuori dal Continente americano, lo sguardo è rivolto principalmente a Emirati Arabi (15,6%), Cina (14,2%), Germania (9,9%) e Regno Unito (7,1%). Da non sottovalutare, tuttavia, l’Angola (3,5%), dove la comunanza linguistica potrebbe rappresentare un volano di cooperazione bilaterale specie se il prossimo anno l’ex presidente Lula, da sempre attento al Continente africano, dovesse ricandidarsi e vincere le elezioni.

Come vogliono espandersi le imprese attive all’estero? L’idea di un’alleanza strategica con un’azienda locale o straniera già operante in loco, attraverso un accordo di cooperazione, è la più caldeggiata (61,7%). Segue l’ipotesi dell’investimento greenfield, cioè a partire da zero, prefigurata dal 53,2% delle aziende intervistate, mentre poco spazio sembra esserci per joint-venture (24,1%) e fusioni o acquisizioni (22,7%).


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