Mentre in Medio Oriente, in seguito all’attacco sferrato venerdì scorso da Israele contro le strutture nucleari dell’Iran, è ormai guerra aperta tra lo Stato Ebraico e la Repubblica Islamica, a qualche migliaio di chilometri di distanza, cioè ad Astana, in Kazahstan, sta per cominciare il 2° Vertice Cina-Asia Centrale. Dopo la prima edizione, svoltasi due anni fa a Xi’an, nella provincia cinese dello Shaanxi, questo secondo summit cercherà di alimentare la fiammella della speranza globale alla ricerca di una stabilità internazionale che ogni giorno di più appare irrimediabilmente compromessa. Con il lancio, nel settembre 2013, dell’Iniziativa Belt and Road (BRI), Xi Jinping ha inaugurato una nuova fase nelle relazioni tra Cina, Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan, sviluppando la cooperazione a livello sia bilaterale che multilaterale. Le nuove rotte del commercio e dell’energia costruite nel corso degli ultimi vent’anni mostrano una regione capace di superare sfide ed ostacoli proibitivi, desiderosa di acquisire rilevanza e prestigio internazionale. A questo riguardo, il direttore responsabile Andrea Fais è intervenuto sulle “colonne” di China Radio International (CGTN) per la rubrica “Opinioni”. Proponiamo qui di seguito la versione integrale dell’articolo.
di Andrea Fais
[Direttore responsabile di Scenari Internazionali]
In un contesto globale sempre più teso ed instabile, sta per prendere il via il secondo Vertice Cina-Asia Centrale. Dopo l’edizione di lancio di due anni fa a Xi’an, capitale di ben tredici dinastie cinesi e luogo di partenza dell’antica Via della Seta, il summit comincerà presto ad Astana, principale centro amministrativo, politico ed economico del Kazakhstan. Sarà dunque Kassym-Jomart Tokayev, presidente del più esteso tra i cinque Paesi della regione, a ricevere l’omologo cinese Xi Jinping e gli altri leader per un consesso di grande rilevanza.
L’evento cade in un momento di estrema conflittualità diffusa su scala internazionale, soprattutto nella regione del Vicino e Medio Oriente. Le cinque repubbliche del Kazakhstan, dell’Uzbekistan, del Turkmenistan, del Kirghizistan e del Tagikistan condividono da molti anni relazioni con la Cina a livello sia bilaterale che multilaterale in svariati ambiti. Avviata concretamente nel lontano 2001 con la fondazione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), la cooperazione multilaterale si è inizialmente concentrata sulla sicurezza e sulla difesa congiunta nell’ottica di stabilizzare la regione contrastando, insieme alla Russia, altro membro fondatore, i “tre mali” che ne minavano gli equilibri durante la delicata fase post-sovietica: terrorismo, estremismo e separatismo.
Nel tempo, l’organizzazione ha accolto altri 3 Paesi membri (India, Iran e Pakistan), 3 Paesi osservatori (Afghanistan, Bielorussia e Mongolia) e 14 partner per il dialogo (Arabia Saudita, Armenia, Azerbaigian, Bahrein, Cambogia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Maldive, Myanmar, Nepal, Qatar, Sri Lanka e Turchia), estendendo il suo raggio d’azione a molti altri settori, tra cui economia e commercio, energia, cultura, sanità, istruzione, industria, trasporti, politiche sociali, scienza e tecnologia, agricoltura e turismo.
Il Turkmenistan, che nel 1995 aveva già adottato una dottrina di neutralità permanente in politica estera, ha sin qui sempre preso parte ai vertici SCO in veste di ospite speciale, senza mai approfondire il suo status a livello di osservatore né, tanto meno, di membro. Eppure, a partire dal 2009, Ashgabat è diventata per Pechino uno dei principali partner strategici nel settore energetico.
Dai giacimenti della vasta area di produzione del fiume Amu Darya si originano infatti le prime tre linee parallele (A, B e C) del gasdotto Cina-Asia Centrale, che attraversano Uzbekistan e Kazakhstan prima di entrare nella regione autonoma cinese dello Xinjiang. Una quarta linea (D), in partenza dal giacimento di Galkynysh, passando per Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan, è ancora in fase di completamento. Non appena questo segmento sarà operativo, l’intera infrastruttura raggiungerà una capacità di trasporto annua di 85 miliardi di metri cubi.
La vera e propria svolta nelle moderne relazioni tra la Cina e l’Asia Centrale è tuttavia arrivata nel 2013, quando il presidente cinese Xi Jinping presentò ufficialmente l’Iniziativa Belt and Road (BRI) dal palco dell’aula magna dell’Università Nazarbayev di Astana, durante una visita ufficiale. Il mega-piano, pensato per ricostruire in chiave moderna le direttrici dell’antica Via della Seta, attirò immediatamente l’attenzione dei cinque Paesi della regione, destinati, per ovvie ragioni storico-geografiche, a rivestire un ruolo significativo nell’ambito della Silk Road Economic Belt, ovvero la componente terrestre della Nuova Via della Seta.
“Più di 2100 anni fa, durante la Dinastia Han, il diplomatico cinese Zhang Qian fu inviato in Asia Centrale due volte per una missione di pace e amicizia”, ricordò in quell’occasione Xi, sottolineando come “i suoi viaggi aprirono le porte ai contatti amichevoli tra la Cina e i Paesi dell’Asia Centrale, nonché alla Via della Seta, che collegava Oriente e Occidente, Asia ed Europa”. Richiamando gli anni della giovinezza trascorsi nella provincia dello Shaanxi, non lontano dal capoluogo Xi’an, il leader cinese chiarì ai presenti uno degli obiettivi salienti del suo mandato presidenziale, cominciato pochi mesi prima: “Oggi, stando qui e ripercorrendo quell’episodio storico, posso quasi sentire le campane dei cammelli echeggiare tra le montagne e vedere un filo di fumo che si alza dal deserto”.
Gli autoarticolati e i treni merci hanno ormai sostituito i caratteristici esemplari di camelus bactrianus, l’animale utilizzato per millenni da mercanti e diplomatici in transito nei territori di alcuni tra gli imperi e i regni più importanti della storia. Alle infrastrutture del Passo di Alataw, si inoltre è affiancato il moderno interporto di Khorgos, cruciale snodo energetico e commerciale tra Cina e Kazakhstan.
Stando ai dati delle autorità doganali cinesi, nel 2024 il commercio tra la Cina e i cinque Paesi dell’Asia Centrale ha totalizzato un valore pari a 94,8 miliardi di dollari, in crescita di 5,4 miliardi rispetto all’anno precedente. Nello stesso periodo, i treni merci nelle due direzioni hanno compiuto 12.000 viaggi trasportando beni per 880.000 TEU, rispettivamente in aumento del 10% e del 12% sul 2023. I numeri parziali di quest’anno indicano una tendenza in crescita, con 4.725 viaggi nei primi quattro mesi del 2025, per un incremento del 21% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Sebbene le cifre del traffico commerciale siano ancora molto lontane da quelle relative al trasporto marittimo, la regione si sta seriamente candidando a diventare un’alternativa credibile alle rotte tradizionali, in particolare grazie all’integrazione tra la BRI e il progetto multimodale del Corridoio Mediano (TITR), nel tentativo di estendere le arterie terrestri della Nuova Via della Seta all’Azerbaigian, attraverso il Mar Caspio, e quindi alla Turchia, via Georgia, raggiungendo infine il Mediterraneo. Il percorso, se implementato e solidamente strutturato, sarebbe quindi una soluzione ideale per impedire che interferenze esterne, amplificando l’instabilità in Europa Orientale o nel Medio Oriente, possano minare il regolare flusso di scambi tra Cina ed Europa.
Piattaforme multilaterali come il Vertice Cina-Asia Centrale o la stessa SCO sono indubbiamente chiamate a consolidare la stabilità politica e la crescita economica nella regione eurasiatica, intercettando le esigenze poste dal mutamento di paradigma nel quadro della governance globale, in una direzione più inclusiva e più aperta alle richieste provenienti da attori emergenti desiderosi di fuoriuscire dalla condizione di irrilevanza cui sono stati a lungo relegati nel passato.
© Riproduzione riservata