di Lee Hsien Loong, Primo Ministro della Repubblica di Singapore
[The Washington Post]
La disputa commerciale tra la Cina e gli Stati Uniti è rimasta in pentola per un po’. Ma con l’annuncio di dazi unilaterali sulle importazioni da parte dell’amministrazione Trump, nei confronti della Cina, lo spettro di una guerra commerciale non è mai stato più evidente di così.
C’è un ampio consenso politico negli Stati Uniti riguardo tali misure. Le imprese americane che avevano in precedenza sostenuto l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) sentono ora svantaggioso fare affari in Cina. Percepiscono, con qualche ragione, che il terreno di confronto è impari, che l’accesso al mercato è limitato e che gli investimenti sono soggetti a restrizioni, soprattutto nei settori finanziario e tecnologico. Gli accordi commerciali e le concessioni fatte in passato, quando la Cina contribuiva a circa il 5% del PIL mondiale, sono accettate con meno facilità oggi con una Cina vicina al 15%.
Tuttavia, l’imposizione unilaterale di dazi non è la giusta soluzione. Una guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina è ancora lontana dall’essere inevitabile ma, se dovesse scoppiare, minerebbe in modo molto grave il sistema multilaterale regolamentato, alla base della prosperità globale sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. I Paesi del mondo intero, grandi o piccoli che siano, ne sarebbero danneggiati.
Ritieniamo che le dispute commerciali dovrebbero essere risolte nel quadro del WTO. Come sottolineato dagli economisti, quando si prendono in esame le relazioni economiche, ciò che conta non è la bilancia commerciale di un Paese con un partner commerciale specifico ma la sua intera bilancia commerciale con il resto del mondo. Inoltre, la causa del deficit commerciale di un Paese risiede in patria. Un deficit commerciale è il risultato di un Paese che consuma più di quanto produce, e questa situazione non è causata né risolta da misure di restrizione commerciale.
Gli Stati Uniti e la Cina condividono le più importanti relazioni bilaterali al mondo. Entrambi hanno beneficiato di un sistema multilaterale del commercio e di un ordine internazionale aperti e regolamentati. Questo ha stimolato la cooperazione economica nella regione Asia-Pacifico e ha intensificato l’interdipendenza tra l’Asia, gli Stati Uniti, l’Europa e il resto del mondo.
L’Asia è il più dinamico mercato di destinazione per i beni e i servizi statunitensi. Quale secondo porto più trafficato e quarto maggior centro finanziario al mondo, Singapore è un hub globale che connette le economie degli Stati Uniti e dell’Asia. Siamo un’economia piccola e aperta capace di flussi commerciali oltre tre volte superiori al nostro PIL. Una guerra commerciale tra le due maggiori economie mondiali avrebbe un impatto estremamente negativo su Singapore.
Da quando la Cina ha aderito al WTO nel 2001, il suo peso nell’economia mondiale ed il suo contributo al commercio mondiale sono cresciuti esponenzialmente. Questo ha spostato l’intero equilibrio strategico. Sono dunque emerse ragionevoli aspettative che la Cina liberalizzi maggiormente i suoi mercati e contribuisca di più al sistema multilaterale del commercio.
La Cina ha annunciato il suo impegno per sostenere l’apertura e il multilateralismo. La Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (AIIB) e l’iniziativa Belt and Road rappresentano i due sforzi più significativi compiuti da Pechino per rafforzare le relazioni in materia di commercio e investimenti, e per consolidare l’integrazione e l’interdipendenza. In occasione della recente Conferenza Annuale del Forum di Boao per l’Asia, il presidente Xi Jinping ha presentato nuovi piani finalizzati all’apertura del settore finanziario cinese, alla liberalizzazione normativa per gli investitori stranieri, alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale e alla riduzione dei dazi sull’import di automobili. Queste mosse sono state riconosciute e apprezzate dal presidente Trump. Attendiamo speranzosi di vedere questi passi in avanti concretizzarsi, attuarsi e dare i loro frutti.
Malgrado la gran parte dei Paesi della regione Asia-Pacifico continui a perseguire la liberalizzazione commerciale ed economica – ad esempio, attraverso il Partenariato Trans-Pacifico ed il Partenariato Economico Globale Regionale – queste iniziative non potranno porre rimedio agli effetti nefasti provocati da una guerra commerciale.
Al di là delle perdite economiche, eventuali rapporti tesi tra Stati Uniti e Cina renderebbero più difficile per questi due Paesi anche la cooperazione su altri dossier salienti come quelli relativi alla denuclearizzazione della Penisola Coreana, alla sicurezza regionale, alla non-proliferazione e ai cambiamenti climatici. Nessuna di queste problematiche può essere risolta senza la piena partecipazione di entrambi i Paesi. Se una qualsiasi di queste dispute dovesse degenerare e destabilizzare i rapporti sino-statunitensi, le conseguenze per il mondo sarebbero disastrose.
La competizione tra Stati Uniti e Cina rientra nelle previsioni. Eppure, se questa competizione dovesse aver luogo in un quadro di interdipendenza e di regole internazionali complessivamente accettate, sarebbe tutt’altra cosa. Insomma, ad essere in discussione sono la guerra e la pace, la sicurezza e la stabilità del pianeta. Gli Stati Uniti, la Cina e il resto del mondo hanno troppo in ballo.
Traduzione a cura della Redazione
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