Export. ‘Bello e Ben Fatto’ italiano vale 135mld con potenziale di 82mld, Cina osservata speciale

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A cura della Redazione


Il Bello e Ben Fatto italiano vale 135 miliardi di euro e rappresenta una parte consistente delle esportazioni complessive dell’Italia ed è trasversale a tutti i principali comparti dal Made in Italy, seppure in maniera più marcata nei settori afferenti alle 3 “F”, cioè Fashion, Food and Furniture. Le eccellenze italiane si dirigono prevalentemente verso i mercati avanzati, che insieme ne assorbono circa 114 miliardi di euro. Ammonta invece a oltre 20 miliardi di euro il quantitativo di eccellenze esportato verso i Paesi emergenti, che, per il loro dinamismo offrono margini di crescita maggiori, a fronte comunque di rischi più elevati.

È quanto emerge dall’analisi condotta dall’ultima edizione, la prima dallo scoppio della pandemia, del Rapporto Esportare la Dolce Vita, realizzato dal Centro Studi Confindustria, in collaborazione con Unicredit e con il contributo di SACE, Netcomm e Fondazione Manlio Masi (Osservatorio Nazionale per l’Area Affari Internazionali e gli Scambi).

Stando alle analisi contenute nel rapporto, c’è un margine potenziale di incremento delle esportazioni pari a 82 miliardi di euro. L’analisi contenuta nel Rapporto consente di ottenere una misura del potenziale di mercato dell’Italia nell’ambito del BBF, rispetto alla quale valutare il margine di miglioramento delle posizioni fin qui acquisite. Il potenziale si ripartisce per oltre tre quarti nei Paesi avanzati (62 miliardi di euro) e per la restante parte negli emergenti (20 miliardi di euro).

I Paesi avanzati rappresentano mercati più grandi e domandano con maggiore intensità i beni del BBF. Gli Stati Uniti sono il mercato con il più alto potenziale in termini assoluti, 15,5 miliardi di euro di possibile export aggiuntivo. Potenziale elevato anche per Francia, Germania e Regno Unito, che complessivamente valgono 13,7 miliardi di euro di potenziale.

L’Italia presidia bene i mercati più dinamici. Il primo paese per potenziale è la Cina con 3,9 miliardi di euro di export aggiuntivo possibile. Nel dettaglio, a fronte di un potenziale totale di 8,6 miliardi, l’export già realizzato è il 60% circa (4,7 miliardi), mentre è ancora sfruttabile il 40% del potenziale di crescita del BBF. Tra i Paesi emergenti, la Cina è quello che offre maggiori margini di miglioramento anche nel medio-lungo termine. Le stime sullo stock attuale della classe media benestante e sull’aumento dei nuovi ricchi al 2025 e 2030, mostrano che i mercati asiatici sono gli assoluti protagonisti tra i mercati emergenti. La Cina si colloca al primo posto sia per dimensione attuale della classe benestante (265,6 milioni) che per la crescita nel prossimo quinquennio (70,2 milioni).

La Cina si conferma un’osservata speciale per l’Italia, come Paese emergente a alto potenziale di export ma anche principale competitor. Insieme a Germania, Stati Uniti, Francia e Spagna è infatti tra i principali competitor nelle categorie merceologiche del BBF. Le eccellenze italiane restano abbastanza protette, ma l’upgrading dei prodotti cinesi è sempre più pressante. Nel 2020, la Cina è stato uno dei pochi Paesi al mondo a registrare una crescita positiva (oltre il 2%) e, secondo le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale, nell’anno in corso farà registrare un tasso di crescita del PIL superiore all’8%.

Un ulteriore segnale forte in favore del libero scambio è la conclusione del Partenariato Economico Regionale Globale (RCEP), il più grande accordo commerciale di libero scambio che comprende i dieci paesi del gruppo ASEAN più Australia, Cina, Corea del Sud, Giappone e Nuova Zelanda. La RCEP ha il merito di essere il primo accordo commerciale che vede la presenza contemporanea di Cina, Giappone e Corea del Sud, i principali beneficiari dell’accordo. Si tratta di un’area che cresce in importanza per il Made in Italy e che ha tenuto durante la pandemia.

Per l’Italia – segnala il Rapporto – ci sono sia benefici che rischi: da una parte, infatti, è stato creato uno spazio ampio e uniforme per gli investimenti diretti; dall’altra, c’è il rischio che il Made in Italy venga soppiantato da produzioni interne all’area di scambio. In ogni caso, l’aumento di ricchezza previsto nei Paesi firmatari grazie alla RCEP rappresenta uno stimolo concreto per l’export italiano del BBF, e le imprese italiane a vocazione internazionale non possono che guardare con interesse all’Accordo.

Gli effetti della pandemia non hanno risparmiato il BBF, che ha subito pesanti ripercussioni. I settori legati alla Moda sono stati tra i più colpiti ma nonostante tutto alcune eccellenze del Made in Italy hanno continuato a crescere anche nel 2020, e si sono mostrati particolarmente resilienti.

Nel corso del 2020, osserva il Rapporto, l’emergenza del virus Sars-Cov2 ha avuto un significativo impatto sul commercio internazionale. L’impatto della crisi è stato generalizzato e asimmetrico al tempo stesso. A partire da marzo 2020, le esportazioni BBF dell’Italia sono state significativamente inferiori allo stesso mese dell’anno precedente (85% dei valori del 2019), toccando un minimo in aprile (59%) e maggio (69%). Da luglio, le esportazioni hanno ripreso a crescere ad un ritmo comparabile, e leggermente superiore, allo stesso periodo del 2019 (con un rallentamento in ottobre). In generale, nel corso del 2020 si nota come le esportazioni di prodotti BBF dell’Italia abbiano tenuto rispetto alle esportazioni di altri grandi Paesi manifatturieri europei.

«La crisi da Covid-19 ha avuto un effetto propulsivo sulle tendenze in atto, provocando un salto di velocità nelle trasformazioni sociali e, di riflesso, dell’economia. Soprattutto un’ulteriore spinta alla digitalizzazione», ha commentato Barbara Beltrame Giacomello, vicepresidente di Confindustria per l’Internazionalizzazione, che ha aggiunto: «La pandemia ha fornito anche impulso ai cambiamenti negli equilibri sullo scacchiere internazionale. La forza e la resilienza della Cina e del suo modello di sviluppo sono emerse in modo definitivo ed inequivocabile: prima ad essere colpita dalla pandemia, è stata l’unica tra le grandi economie mondiali a crescere nel 2020. Ma anche l’Italia ha dimostrato di essere forte. La nostra forza è rappresentata dall’indiscutibile qualità e riconoscibilità dei nostri prodotti. Il Made in Italy è vivo e lotta. La sfida ora è capire come trasformare le nostre imprese: rafforzare i canali di vendita digitale, stabilizzare le relazioni internazionali e preservare e aumentare la riconoscibilità del Made in Italy».

Il Capitolo 4 del Rapporto, curato dall’Ufficio Studi di SACE, ha approfondito le opportunità che il nuovo accordo di libero scambio introdotto dal Partenariato Economico Regionale Globale (RCEP) presenta per il BBF italiano.

«Il Rapporto ‘Esportare la Dolce Vita’ presentato oggi da Confindustria, che include anche il contributo dell’Ufficio Studi di SACE, si focalizza sul macro settore del Bello e Ben Fatto, vale a dire le 3F (Fashion, Food, Furniture) in primis, a cui aggiungiamo la Ceramica, la Cosmetica, la Nautica e l’Automotive, che insieme rappresentano 135 miliardi di euro delle nostre vendite all’estero (il 30% del totale) e sono un grande punto di forza del nostro Paese e un tratto distintivo del nostro export», ha dichiarato Pierfrancesco Latini, AD di SACE, che prosegue: «La maggior parte delle esportazioni del Bello e Ben Fatto sono dirette ai mercati avanzati, come Stati Uniti e Germania. Se da un lato a trainare la crescita per il prossimo anno saranno ancora le geografie tradizionali come Stati Uniti e Germania, la quota dei mercati emergenti risulta tuttavia in crescita e presenta ampi margini di sviluppo. È proprio infatti dalle destinazioni non tradizionali – che hanno mostrato grandi capacità di resilienza e reazione alla crisi che stiamo vivendo – che arriveranno diverse opportunità per il Made in Italy: innanzitutto dal Sud-est asiatico e in maniera selettiva da tutti i continenti. Non possiamo non parlare del grande potenziale dell’area RCEP, l’accordo di libero scambio tra i dieci Paesi del gruppo ASEAN e cinque dei loro partner commerciali: Australia, Cina, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud. Il contributo di SACE al Rapporto presentato oggi, realizzato dal nostro team di economisti, si sofferma proprio su questo punto. L’accordo RCEP contribuirà a rafforzare i legami commerciali tra le economie che hanno aderito, rendendole più solide e incrementando la loro capacità di consumo. Questo porterà a un aumento della domanda di import di beni di qualità e di questo incremento generale ne beneficeranno i settori del Bello e Ben fatto italiano».


Area RCEP © Tiger 7253
  • La regione asiatica ha dimostrato una grande resilienza verso l’impatto sanitario ed economico della pandemia Covid-19 e si prefigura come l’area di maggiore sviluppo del nostro export già nel 2021 e nei prossimi anni.
  • Le nostre imprese potranno peraltro beneficiare delle prospettive di crescita delle economie asiatiche favorite dalla recente creazione del RCEP, il più grande Accordo commerciale di libero scambio in vigore al mondo, che comprende i dieci Paesi della regione ASEAN (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam) più Australia, Cina, Corea del Sud, Giappone e Nuova Zelanda. Le geografie coinvolte rappresentano circa il 30% del PIL e della popolazione mondiale ed oltre un quarto del commercio internazionale di beni.
  • Con la creazione del RCEP, tali Paesi beneficeranno di un’area di scambio maggiore, con il probabile risultato di accrescere il loro potenziale di crescita e di sviluppo, nonché di incrementare la domanda di import di beni dall’estero, sia di investimento che di consumo.
  • Di questi sviluppi legati al RCEP beneficeranno i settori del Bello e Ben Fatto italiano, che potranno cogliere importanti opportunità in questi mercati verso i quali a partire dal 2000 l’export italiano ha più che raddoppiato il suo valore, da poco meno di 15 a 38,7 miliardi di euro nel 2019 o, in termini relativi, dal 6% all’8% dell’export complessivo italiano, in virtù di tassi di crescita generalmente superiori rispetto a quelli registrati verso i restanti mercati. Anche nel 2020, a seguito della crisi pandemica, le esportazioni verso le economie RCEP hanno mostrato una flessione inferiore rispetto alle altre geografie, sostenute in particolare dall’andamento pressoché stabile in Cina, che da sola rappresenta oltre un terzo delle vendite italiane complessive verso i 15 paesi.
  • Oltre ai possibili benefici in termini di export, l’adozione di standard e di regole comuni renderà l’area ancor più attraente per le imprese italiane sotto il profilo degli investimenti volti ad entrare nelle filiere di produzione asiatiche, rappresentando un’opportunità di efficientamento nella partecipazione alle catene globali del valore. Le imprese italiane con consolidate catene di approvvigionamento intra-asiatiche potranno inoltre giovare della riduzione del prezzo dei beni intermedi legata alla maggiore efficienza delle catene del valore dei paesi RCEP.
  • Se quanto evidenziato sopra, da una parte, ricalca gli aspetti positivi che motivano l’ottimismo che si è creato intorno alla firma del RCEP, pur senza il coinvolgimento diretto dell’Italia, dall’altra va riconosciuto il rischio di una potenziale perdita di competitività dei prodotti italiani, con conseguente riduzione dell’export nell’area, a seguito della riduzione dei costi di transazione e della maggiore integrazione delle supply chain dei Paesi firmatari. Questo effetto, noto come import substitution, potrebbe verificarsi solamente a favore di quei paesi RCEP che si configurano come veri competitor dell’Italia, ossia che presentano un certo grado di sovrapposizione nei principali settori di export, quali in particolare Cina, Giappone, Thailandia e Corea del Sud. Dal punto di vista settoriale, la maggior parte della concorrenza è concentrata nella Meccanica strumentale, il comparto più esposto alla concorrenza interna al RCEP.
  • Una seconda – e non meno importante – determinante del rischio di import substitution è rappresentata dall’entità delle barriere di tipo tariffario incontrate dai prodotti italiani in ingresso nei diversi paesi RCEP, che talvolta possono far aumentare il prezzo dei beni in maniera sensibile. Questo aspetto risulta in parte mitigato dall’esistenza di accordi commerciali bilaterali siglati tra l’Unione europea e alcune importanti economie del gruppo dei 15, come Corea del Sud, Singapore, Giappone e Vietnam, e che prevedono il quasi completo abbattimento dei dazi in un periodo distribuito tra l’entrata in vigore e un massimo di 10 anni. Sebbene l’UE abbia intavolato negoziati anche con altri 6 membri RCEP (Australia, Nuova Zelanda, Filippine, Indonesia, Malesia e Thailandia, seppure in queste due ultime geografie il dialogo è fermo da alcuni anni), l’export italiano incontra dazi abbastanza elevati in assenza di accordi commerciali.
  • Tali rischi riguardano anche l’export del Bello e Ben Fatto (BBF), seppur con intensità variabili e peculiari alla tipologia di beni considerati. A differenza dell’export complessivo italiano verso l’area, caratterizzato in prevalenza da beni intermedi, i prodotti del BBF sono infatti beni finali di consumo caratterizzati da elevati standard di qualità e, più in generale, di competitività non di prezzo, la cui domanda è fortemente condizionata dal livello di ricchezza del Paese importatore e nei confronti dei quali l’Italia gode certamente di un vantaggio competitivo.
  • A partire dal 2010, le esportazioni italiane di BBF sono cresciute a ritmi in media superiori a quelli registrati per l’export complessivo nell’area, risultando quindi in un aumento della loro incidenza. Il peso delle vendite del BBF – rimasto pressoché stabile dal 2000 per un decennio – è passato infatti dal 25,5% nel 2010 al 34,7% nel 2019, in corrispondenza di un valore pari a circa 13,5 miliardi di euro.
  • Nel 2020, lo shock da Covid-19 e la profonda recessione economica globale non hanno risparmiato i paesi RCEP – con un’importante eccezione rappresentata dalla Cina, unico paese a registrare una crescita positiva. Limitatamente al BBF, il nostro export nella regione è diminuito a un ritmo superiore e pari al 7,5%, in maniera analoga a quanto osservato nel resto del mondo (-7,8%); la natura della crisi e delle misure restrittive adottate per il contenimento del contagio ha penalizzato maggiormente i beni non essenziali e di lusso – tra cui rientrano anche alcuni del BBF (in primis, il Sistema moda e la Cosmetica ad alto valore aggiunto).
  • Per il 2021, in linea con le previsioni di una ripresa dell’economia globale e di un pieno recupero del commercio mondiale di beni, si attende una ripresa particolarmente vivace nei paesi del RCEP, trainati sempre dalla Cina. In termini di domanda di importazioni di beni – e quindi di potenziale export italiano – nel 2021 molte economie della regione vedranno un rimbalzo più che proporzionale alla “perdita” registrata durante la crisi, superando significativamente i livelli osservati nel 2019. In particolare, la domanda dei prodotti italiani del BBF potrà beneficiare di maggiori consumi possibili grazie al risparmio – precauzionale e “forzato” – accumulato durante la crisi economica dello scorso anno, nonché di un forte desiderio di ritorno alla normalità. Non bisogna, tuttavia, sottovalutare alcuni cambiamenti strutturali nei comportamenti dei consumatori, in primis l’ulteriore maggiore utilizzo dei canali di acquisto online che interessa soprattutto alcune categorie del BBF – dall’Abbigliamento alla Cosmetica ai Complementi di arredo. Le aziende italiane, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, dovranno quindi saper cogliere le opportunità derivanti dallo sviluppo dell’e-commerce, anche in ragione dell’importanza a esso riconosciuto nell’Accordo, al fine di intercettare la domanda di beni BBF da parte dei paesi RCEP.