È in uscita Non chiamateli piccolini, nuovo numero trimestrale di Scenari Internazionali. Dopo l’ultima pubblicazione di giugno, interamente dedicata al conflitto russo-ucraino e alle sue conseguenze economiche, l’uscita di questo mese cambierà decisamente rotta, concentrando la sua attenzione su alcuni tra i Paesi più piccoli del mondo. Come sono sorti? Come sono sopravvissuti a guerre o cambiamenti epocali? Quali sono i loro punti di forza?
A cura della Redazione
Se questi mesi di guerra ci hanno insegnato qualcosa, è che non è possibile semplificare senza aver prima affrontato la complessità e che l’informazione non può essere piegata al sensazionalismo o alle esigenze dello share. Tra i limiti principali del mainstream in politica internazionale non c’è solo la banalizzazione del dibattito ma anche la riduzione del campo di discussione a pochi grandi Paesi.
Scenari Internazionali ha così deciso di realizzare un numero speciale per approfondire una realtà spesso ignorata, cioè quella delle nazioni più piccole, prendendo in esame sette casi Paese particolarmente significativi, suddivisi per continenti di appartenenza: Europa, Asia, America ed Africa.
In gran parte spregiativamente etichettati come “paradisi fiscali” per le loro normative particolarmente favorevoli alle imprese, questi Stati devono in realtà le loro fortune soprattutto ad intuizioni, abilità organizzative e capacità di massimizzare i propri punti di forza, che gli hanno consentito di affermarsi non solo come attrattori di investimenti esteri ma anche come veri e propri modelli di crescita e sviluppo.
Emblematico, in questo senso, è l’esempio di Singapore, città-stato asiatica caratterizzata da una delle economie più competitive e performanti al mondo, puntando quasi tutto su istruzione, capacità manageriale e portualità. Infrastrutture decisive anche a Panama, dove da oltre un secolo il celebre canale di trasporto navale rappresenta un asset strategico cruciale per la ricchezza del Paese.
Chi ha la fortuna di possedere significative riserve di idrocarburi, come il Brunei o il Bahrein, ha comunque già da tempo compreso che queste non saranno per sempre sufficienti a garantire stabilità, benessere e sviluppo, e sta perciò puntando anche su turismo, eventi e manifattura innovativa. Dall’altra parte del mondo, il piccolissimo Liechtenstein, coi suoi circa 38.000 abitanti, genera un PIL superiore ai 6,5 miliardi di dollari, di cui addirittura il 40% proviene proprio dalla manifattura.
Discorso a parte per il Lussemburgo che, tra eccellenze interne e critiche in materia fiscale, incarna lo spirito e le contraddizioni di un’Europa competitiva ma ancora squilibrata al suo interno. Il Granducato, però, non ci sta e vuole scrollarsi di dosso le etichette poco edificanti del passato.
Nemmeno Mauritius, paradisiaco insieme di isole nell’affascinante Arcipelago delle Mascarene, ha intenzione di restare invischiata in liste di proscrizione “grigie” o “nere”, mostrando al mondo che commercio, agricoltura e turismo sono le sue vere carte vincenti.