Un recente sondaggio rivela che soltanto il 23% dei norvegesi vorrebbe che il proprio governo bloccasse la concessione di nuove licenze esplorative nelle acque nazionali. Appena due anni fa, in un altro sondaggio, il 34% degli intervistati si era detto contrario alla ricerca di ulteriori giacimenti. Malgrado il Paese scandinavo sia tra i leader mondiali in tema di green economy, l’Oil&Gas rappresenta tutt’ora un settore fondamentale per l’economia nazionale. Secondo quanto annunciato dal governo, continuerà ad esserlo anche in futuro ma in modo diverso.
A cura della Redazione
Il sondaggio condotto dall’istituto di ricerca Sentio per il quotidiano Klassekampen, indica che il 59% dei norvegesi è favorevole all’esplorazione a fini petroliferi e gassiferi. A riportarlo, nei giorni scorsi, è stato il sito newsinenglish.no. Resta così invariata la quota di coloro che, in occasione di un’indagine condotta nel 2019, avevano espresso la loro contrarietà ad un eventuale blocco delle esplorazioni per la ricerca di ulteriori giacimenti, mentre diminuiscono coloro che ritengono che queste dovrebbero essere interrotte. Il numero degli indecisi è invece più che raddoppiato, passando dal 7% di due anni fa al 18% odierno.
I risultati del sondaggio rispecchiano grossomodo la situazione politica norvegese, che vede i principali quattro partiti – il Partito Conservatore del primo ministro Erna Solberg e il Partito del Progresso a destra, il Partito Laburista e il Partito di Centro a sinistra – sostenere l’esplorazione e la produzione di petrolio e gas.
Nell’intervista rilasciata a Klassekampen, il centrista Trygve Slagsvold Vedum ha spiegato che fermare la produzione petrolifera nel Paese non avrebbe effetti sul cambiamento climatico semplicemente perché «continuerebbe da altre parti». Anche il laburista Bjørnar Skjæran non ha nascosto il suo sostegno all’esplorazione petrolifera: «Vogliamo sviluppare l’Oil&Gas, non fermarlo. Si tratta di un settore che ha generato e ancora genera ricchezza per la società ma che ha anche le competenze per riscuotere successo nella transizione verde».
Ad opporsi sono invece le forze politiche meno rappresentate alla Stortinget ma intenzionate a portare avanti la loro battaglia per fermare le nuove esplorazioni: la Sinistra Socialista, i Verdi e il Partito Rosso (marxista) a sinistra; il Partito Liberale a destra.
Dati alla mano, l’economia norvegese è ancora fortemente dipendente dal settore Oil&Gas, che rappresenta il 42% dell’export di beni e genera oltre 200.000 posti di lavoro diretti o indiretti, permettendo così alle aree rurali del Paese di rimanere popolate [France24]. I proventi del settore finiscono – assieme ai ricavi ottenuti da altri investimenti in equity, obbligazioni e mercato immobiliare – nel fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo con un valore complessivo pari a circa 1.360 miliardi di dollari.
Il governo Solberg, sostenuto da una coalizione di centrodestra composta dal Partito Conservatore, dal Partito Cristiano Democratico e dal Partito Liberale, dopo la defezione degli euroscettici del Partito del Progresso nel gennaio 2020, ha pubblicato lo scorso 11 giugno un nuovo libro bianco sulla politica energetica, dal titolo Mettere al Lavoro l’Energia. Restano prioritarie nuove iniziative che includono «l’idrogeno, l’eolico offshore, il rafforzamento della rete elettrica e un settore petrolifero e del gas a basse emissioni».
Tina Bru, ministro per il Petrolio e l’Energia, ha annunciato una «produzione più redditizia di energia rinnovabile» ed il rafforzamento della rete elettrica, aggiungendo che «l’eolico offshore rappresenta un’opportunità industriale per la Norvegia e potrebbe costituire una parte importante del prossimo capitolo della nostra storia come nazione energetica».
Secondo quanto indicato nel libro bianco, la Norvegia «deve prepararsi al fatto che l’industria petrolifera non sarà più la stessa forza motrice economica del passato». L’intenzione è quella di «costruire un settore Oil&Gas orientato al futuro, capace di offrire una produzione a basse emissioni nel quadro della nostra politica climatica», considerando che le competenze e le tecnologie del settore sono fondamentali anche per lo sviluppo di settori e tecnologie emergenti come la cattura e stoccaggio del diossido di carbonio, l’eolico off-shore e l’idrogeno.
La sfida di Oslo è dunque quella di armonizzare il percorso di raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile posti dall’Agenda 2030 dell’ONU, delineato da Oslo nel Piano d’Azione Globale per il Clima presentato lo scorso 8 gennaio, con le esigenze economiche ed occupazionali di un Paese ancora fortemente dipendente dall’export di idrocarburi.