Osaka pronta a ospitare G20 infuocato, economisti nipponici preoccupati da guerra commerciale

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Fra pochissime ore, considerando anche il fuso orario, comincerà il vertice generale del G20 di Osaka, in Giappone. Gli occhi del mondo sono puntati sul confronto in programma fra Xi Jinping e Donald Trump, chiamati a discutere per trovare un soluzione ragionevole alla guerra commerciale in atto fra Cina e Stati Uniti. Alcuni fra i più importanti economisti giapponesi sono convinti che questa disputa resti il principale fattore di rischio per l’economia mondiale e per il Giappone stesso che, in qualità di Paese ospitante nonché di terza economia mondiale, è chiamato a svolgere un ruolo di mediazione molto importante.


di Kazuaki Nagata
[The Japan Times]



Stante la perdita di fiducia nel sistema di libero scambio, principalmente a causa delle forti tensioni tra Stati Uniti e Cina, assicurare che le frizioni commerciali non indeboliscano l’economia mondiale sarà uno dei principali argomenti in agenda al vertice generale del G20, in programma fra domani e dopodomani a Osaka, in Giappone.

Stando a quanto sostengono gli economisti intervistati dal Japan Times, il principale rischio per l’economia mondiale è la guerra commerciale tra Pechino e Washington. Alcuni sostengono che il potenziale effetto di ricaduta infliggerebbe danni sufficienti a congelare l’economia, nonostante ritengano improbabile una recessione.

La guerra commerciale potrebbe assestare un duro colpo anche all’economia giapponese, che ha registrato qualche segnale positivo negli ultimi mesi fra deboli consumi e profitti delle aziende, e ha visto l’imposta sui consumi aumentare dall’8 al 10% soltanto qualche mese fa.

L’economia globale, che ha visto una crescita stabile tra il 2017 e il 2018, ha rallentato ma ci si attende che riparta il prossimo anno. La crescita è prevista in calo al 3,2% quest’anno, rispetto al 3,5% dell’anno scorso, ma dovrebbe risalire a quota 3,4% nel 2020, secondo i dati diffusi dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).

Un panorama analogo è emerso durante il vertice dei ministri delle Finanze del G20 a Fukuoka all’inizio di questo mese. Eppure, durante quell’incontro i leader hanno anche ricordato che la guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti rimane un rischio negativo. «La crescita resta contenuta e l’incertezza continua ad essere rivolta verso il basso», fanno sapere gli analisti giapponesi. «Ancor di più, le tensioni commerciali e geopolitiche si sono intensificate. Continueremo ad affrontare questi rischi e resteremo pronti ad intraprendere ulteriori azioni».

Se Stati Uniti e Cina continuassero ad imporre dazi l’uno sui prodotti dell’altro, ci sarebbero conseguenze economiche rilevanti per entrambi i Paesi, dicono due economisti. Washington ha già imposto dazi del 25% su 250 miliardi di prodotti cinesi, mentre Pechino ha risposto in questo mese alzando barriere al 25% su 60 miliardi di prodotti statunitensi.

L’Istituto di Ricerca Daiwa, un think-tank di Tokyo, ritiene che se la situazione dovesse peggiorare sino al punto in cui gli Stati Uniti imponessero dazi del 25% su tutti i prodotti cinesi, ad eccezione dei farmaci e delle terre rare, e se Pechino reagisse con identici dazi su 50 miliardi di beni statunitensi e dazi in media del 14,5% su altri 60 miliardi di beni provenienti dagli States, rischierebbero di ridurre il loro PIL rispettivamente dello 0,55% e dello 0,36%.

«Non è un livello [di impatto, nda] che renderebbe la situazione disperata, ma è sufficiente a rallentare l’economia», osserva Shunsuke Kobayashi, senior economist presso l’Istituto di Ricerca Daiwa. Kobayashi afferma che entrambe le parti adotteranno probabilmente decisioni prima che la situazione degeneri. Ad esempio, l’analista sostiene che la Federal Reserve potrebbe ridurre drasticamente i tassi e il governo potrebbe approntare misure di stimolo utilizzando le entrate tariffarie.

Il PIL e i prezzi delle azioni sei mesi prima delle elezioni presidenziali sono solitamente visti come indicatori importanti per il successo elettorale, aggiunge Daiju Aoki, CIO regionale per il Giappone presso UBS Wealth Management a Tokyo. Dunque, le minacce commerciali possono semplicemente essere una mossa elettorale, ma l’amministrazione Trump probabilmente cercherà di portare le elevate tensioni commerciali sotto il livello di allerta per non mettere a repentaglio la sua corsa alla rielezione, ha osservato Aoki.

Secondo Junya Inose, senior economist presso l’Istituto di Ricerca Mitsubishi di Tokyo, i veri fattori di rischio risiedono non nei dazi in sé ma nei potenziali effetti di ricaduta della guerra commerciale. Mentre i dazi sicuramente danneggeranno l’economia, Inosa ritiene che il loro impatto possa essere calcolato e che possano essere prese misure preventive per contenerlo.

«Il problema principale è l’imprevedibilità», ha detto riferendosi all’amministrazione Trump. Inose porta ad esempio l’inedita decisione di vietare alle agenzie statunitensi l’acquisto di prodotti di Huawei, ZTE ed altre aziende tecnologiche cinesi. Tali improvvise e rigide decisioni regolatorie che restringono le attività delle aziende e addirittura di interi settori possono generare difficoltà per chi non ne è preparato e persino trasformarsi in seri problemi economici globali, secondo Inose.

Di fronte ad una resa dei conti sempre più incerta fra le due maggiori economie mondiali, il Giappone dovrebbe prepararsi all’impatto, secondo gli analisti. Per l’Istituto Daiwa, la guerra commerciale potrebbe colpire l’export del Sol Levante fino a 1.300 miliardi di yen (pari a circa 10,62 miliardi di euro). Questo, insieme ad una domanda interna stagnante, vorrebbe dire problemi per la terza economia mondiale.

«Uno scenario in cui la domanda estera riparta e, di conseguenza, faccia lo stesso anche l’economia giapponese è diventato più inverosimile», afferma Kobayashi dell’Istituto Daiwa. Gli analisti sostengono che la crescita del PIL reale quest’anno dovrebbe restare sotto l’1% – ben al di sotto del tasso di crescita potenziale del Giappone – a fronte della debolezza di consumi e investimenti.

Inoltre, guardando ai dati del 20 maggio scorso, i profitti netti sono scesi per circa 1.500 aziende fra quelle inserite nell’indice Topix per l’anno fiscale 2018, per un calo del 7,1%, a quota 34.200 miliardi di yen (pari a quasi 280 miliardi di euro), stando a SMBC Nikko Securities.

A queste preoccupazioni si aggiunge l’imminente aumento delle tasse, previsto ad Ottobre. Gli economisti sostengono che passi ponderati per alleggerire l’impatto [della congiuntura, ndt] consentirebbero al Giappone di essere più preparato rispetto ad aprile 2014, quando la prima fase dell’aumento fiscale – cresciuto di 3 punti, dal 5 all’8% – aveva inferto un duro colpo all’economia.

Stavolta, l’aumento delle tasse escluderà i prodotti alimentari. Il governo sta anche statalizzando l’istruzione prescolastica, sta facendo pressione sui gestori di telefonia mobile per ridurre le tariffe e sta offrendo sconti per incentivare l’uso dei pagamenti elettronici.

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Eppure, il Giappone non potrà semplicemente fare affidamento a fattori interni per aumentare la crescita mentre i fattori esterni restano incerti a causa della guerra commerciale in corso. Piuttosto, il Giappone, quale Paese ospitante, dovrebbe giocare un ruolo di mediazione, bilanciando gli interessi degli altri Paesi membri e stabilendo l’opportunità di metterli tutti sulla stessa lunghezza d’onda, sostiene Inose dell’Istituto Mitsubishi. «Il miglior risultato che spero di vedere [da Osaka, nda] è di aprire la strada per indirizzare la comunità internazionale verso principi basati sulle regole».




Traduzione a cura della Redazione
Fonte in lingua originale qui



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