USA. Donald Trump presidente: la rivincita della “piccola America” e il programma per il Paese

image_pdf



Donald Trump trionfa nelle elezioni dell’8 novembre e diventa il 45° presidente nella storia degli Stati Uniti. Confermate le roccaforti del Sud, il tycoon newyorchese sbanca anche il Midwest, la Florida, il North Carolina e la Georgia, spianandosi la strada verso la vittoria finale, quasi certamente per 305 a 235.



UN’ANALISI DEL VOTO: LA RIVINCITA DELLA “SMALL-TOWN AMERICA”

Le elezioni presidenziali statunitensi si chiudono nel più sorprendente dei modi, cioè con la vittoria di Donald Trump. Il risultato, inaspettato dai più, ha messo in luce tutti i limiti di una narrazione retorica forse melensa, sicuramente inappropriata e del tutto incapace di cogliere l’essenza dei problemi politici di un Paese già da tempo in preda ad una crisi difficile da risolvere. Completamente insensati i richiami al fascino elettorale frettolosamente attribuito dai media di mezzo mondo a Barack e Michelle Obama, corsi in aiuto di Hillary Clinton, tuttavia senza la benché minima efficacia. Altrettanto fuori luogo si sono rivelati anche i tentativi di inquadrare il voto sotto la lente dello scontro tra etnie o tra generi, mettendo al centro del dibattito questioni artificiose come i presunti scandali sessuali di cui Trump si sarebbe macchiato molti anni fa o la fantomatica pianificazione di un muro confinario col Messico che in realtà esiste già da oltre venti anni e che fu eretto proprio da Bill Clinton nel 1994.
Secondo l’elettorato americano, Obama ha evidentemente fallito gran parte dei suoi obiettivi interni ed esteri al punto che, nonostante la martellante campagna mediatica anti-Trump, il risultato finale è stato impietoso. Donald Trump vince, stravince e mette in evidenza una diversa e ben più forte spaccatura interna alla società americana, tra chi ancora – per varie ragioni – riesce a disporre del benessere accumulato dal Paese durante il periodo 1914-2007, il cosiddetto “secolo americano”, e chi sta invece bruscamente scivolando sui gradini di una scala sociale sempre più ristretta ed instabile.
La geografia del voto ci consegna due chiavi di lettura molto interessanti.
La prima mostra la suddivisione del consenso tra le aree costiere (dell’Est e dell’Ovest), in gran parte “fedeli” a Hillary Clinton, e le aree interne, quasi tutte per Donald Trump, che fa del Sud una vera e propria roccaforte, conquistando in sequenza Texas (38 grandi elettori), Georgia (16), North Carolina (15), Arizona (11), Tennessee (11), Alabama (9), Louisiana (8), Oklahoma (7), Mississippi (6) e Arkansas (6). A questi si aggiunge la Florida, sempre incerta e decisiva, coi suoi 29 grandi elettori. Il risultato più sorprendente per Trump è tuttavia quello ottenuto nel Midwest, regione ad alta concentrazione industriale estesa tra il Missouri e l’area dei Grandi Laghi, dove il vincitore ha praticamente ribaltato le tendenze consolidatesi durante le ultime tornate presidenziali. Qui Trump ha infatti conquistato in ordine Ohio (18), Michigan (16), Indiana (11), Missouri (10), Wisconsin (10), Iowa (6), Kansas (6), Nebraska (4), South Dakota (3), North Dakota (3), lasciando alla Clinton soltanto l’Illinois (20) e il Minnesota (10).
La seconda chiave di lettura, invece, mette in evidenza la profonda cesura tra le metropoli e la provincia, una frattura che il noto presentatore televisivo e scrittore Greg Gutfeld non ha esitato a considerare «la rivincita dell’America delle piccole città, stanca di essere derisa». Che siano andati ad Hillary Clinton o a Donald Trump, quasi tutti gli Stati presentano infatti uno stesso copione: la candidata democratica vince nelle metropoli o nei centri più importanti, mentre il tycoon newyorchese conquista il consenso dei centri minori, di quell’America ancora sospesa tra agricoltura e industria che, pur disponendo dei vantaggi della modernizzazione e della digitalizzazione, è molto lontana dall’immaginario collettivo che i grandi businessman di Wall Street o i personaggi dello spettacolo, del cinema e della musica hanno contribuito a delineare, soprattutto all’estero.
Hillary Clinton ottiene il 75,5% dei consensi nel ricco Queens newyorchese, il 79,7% a Brooklyn, addirittura l’87,2% a Manhattan, ma basta spostarsi di appena 200-300 km dalla Grande Mela, come ad esempio nella Contea di Sullivan o in quella di Greene per trovare Donald Trump tra il 55 e il 61%, pur restando sempre nello stesso Stato. Nel District of Columbia, il distretto autonomo della capitale Washington, la Clinton ottiene un esorbitante 92,8%. Tuttavia, è sufficiente sconfinare in Virginia, dove pure Trump ha perso lo Stato, per trovare il candidato repubblicano tra il 60 e il 67% nelle contee di Richmond, King George, Hanover, King William, Madison, Northumberland, Mathews e Gloucester. Trend analoghi si registrano in tutto il Paese, in decine di Stati e in migliaia di contee.
Cosa può aver colpito l’elettorato tra i punti principali del programma di Trump? Senz’altro, il piano di riduzione fiscale a favore delle imprese e delle famiglie, uno storico cavallo di battaglia repubblicano che il nuovo presidente ha però voluto presentare agli americani in una forma un po’ diversa dal passato, apparentemente aperta e benefica verso tutte le fasce sociali.
La perdita di milioni di occupati in seguito alla crisi del 2008 ha pesato sul voto di allora, così come la sostanziale incapacità di Obama a rilanciare seriamente l’economia statunitense ha pesato su quello di ieri. Malgrado una certa retorica nazionalistica porti Trump a ricondurre impropriamente ai competitor commerciali asiatici le responsabilità per gli squilibri interni, tanto da sostenere di voler rinunciare all’accordo di libero scambio con la Corea del Sud e al Partenariato Trans-Pacifico (TPP), il candidato repubblicano ha comunque centrato il tema che sta più a cuore all’elettorato, cioè l’occupazione e il benessere. Il pubblico a cui Trump si è rivolto si compone – testualmente – degli «americani a reddito basso o medio», una fascia ormai enorme di persone a cui la crisi ha portato via molte certezze, generando paura e insicurezza sul futuro.
A queste si aggiungono il timore di essere sopraffatti dall’espansione dei flussi migratori e l’apprensione per la proliferazione del radicalismo islamico, altro cavallo di battaglia del Trump-pensiero, sul quale il nuovo presidente non ha risparmiato durissime critiche al suo predecessore e alla stessa Hillary Clinton per aver contribuito alla destabilizzazione del Medio Oriente.




IL PROGRAMMA DI DONALD TRUMP



ECONOMIA

Punti fermi
– Creare un’economia dinamica in forte espansione capace di generare 25 milioni di nuovi posti di lavoro nel prossimo decennio.
– Per ogni punto percentuale di crescita, l’economia deve creare 1,2 milioni di posti di lavoro. Crescendo dell’1,5% darebbe dunque luogo a 18 milioni di posti di lavoro (1,5 per 1,2 milioni, moltiplicato per dieci anni), oltre alla previsione di 7 milioni di posti creati da una nuova legge sull’occupazione, producendo così un totale di 25 milioni di nuovi occupati per l’economia statunitense.
– Politiche di riforma con un piano fiscale espansivo, una nuova moderna struttura di regolamentazione, una politica commerciale che metta al primo posto gli Stati Uniti, un inedito piano energetico statunitense e il “penny plan”.
– Incoraggiare la crescita ad una media del 3,5% annuo, prevedendo un potenziale raggiungimento del 4%.

Questioni-chiave
– Negli ultimi sette anni, 14 milioni in più di persone hanno perso il lavoro.
– Abbiamo raggiunto il tasso più basso di occupazione dagli anni Settanta.
– 1 famiglia statunitense su 5 non ha alcun membro occupato.
– 23,7 milioni di statunitensi in età da prima occupazione [25-54 anni] sono fuori dal mercato del lavoro: un aumento di 1,8 milioni durante gli ultimi sette anni.
– Il PIL reale è cresciuto soltanto dell’1,1% nel secondo trimestre di quest’anno. Durante gli ultimi sette anni, il PIL reale è cresciuto del 2,1%: la crescita settennale più bassa almeno dagli anni Quaranta.
– E’ la più debole “ripresa” dai tempi della Grande Depressione.
– Gli stipendi orari e quelli settimanali sono più bassi di quelli del 1973.
– Il numero di statunitensi che sono stati costretti a ricorrere ai buoni pasto durante l’amministrazione Obama è aumentato di oltre 12 milioni.
– Ben 2 milioni in più di ispanici vivono in condizioni di povertà da quando il presidente Obama ha assunto il suo incarico, meno di otto anni fa.
– Il 45% dei bambini afro-americani sotto i 6 anni vivono in condizioni di povertà.
– 1 uomo statunitense ogni 6 tra i 18 e i 34 anni d’età è in prigione o fuori dal mercato del lavoro.
– Il debito da prestito per motivi di studio ha superato quota 1.300 miliardi di dollari, quasi raddoppiando durante l’amministrazione Obama.
– Da quando il presidente Obama ha assunto il mandato, il debito nazionale è raddoppiato.
– Il deficit commerciale di beni ha raggiunto circa 800 miliardi di dollari soltanto lo scorso anno.
– Il tasso di proprietari di casa negli Stati Uniti è crollato al 62,9% nel secondo trimestre: il più basso in 51 anni.

Critiche a Hillary Clinton
– Hillary Clinton sostiene che piazzerà suo marito “a capo” dell’economia.
– I piani economici di Hillary Clinton manderebbero in pezzi la nostra economia:
1. Mentre Trump taglierebbe le tasse e semplificherebbe le regole che frenano la crescita, lei progetta nuove massicce politiche finalizzate ad aumentare le tasse e la spesa pubblica [tax-and-spend], infiniti regolamenti e stretti controlli governativi.
2. Le sue riforme corporativiste sul commercio e sull’immigrazione distruggerebbero la classe media statunitense.
– Le politiche della Clinton sono peggiori di quelle attuali, che sono già state giudicate fallimentari. La Federal Reserve ha abbassato le sue stime sul tasso di crescita all’1,8% annuo fino al 2019, basandosi sui provvedimenti in corso. L’Ufficio di Bilancio del Congresso [CBO] stima una crescita soltanto del 2% all’anno nei prossimi dieci anni.




FISCO

Punti fermi
– Ridurre le tasse globalmente, soprattutto per i lavoratori e i cittadini a medio reddito che beneficeranno di un massiccio sgravio fiscale.
– Garantire che i ricchi versino la loro giusta quota, ma che nessuno debba pagare così tanto da distruggere il proprio lavoro o minare la nostra capacità di competizione.
– Eliminare le scappatoie degli interessi particolari, rendere più competitive le aliquote fiscali sulle nostre imprese per salvaguardare i posti di lavoro negli Stati Uniti, creare nuove opportunità e rivitalizzare la nostra economia.
– Ridurre i costi dei servizi per l’infanzia, consentendo alle famiglie di dedurne il costo medio dalle loro imposte, inclusi i genitori che svolgono mansioni domestiche.

Critiche a Hillary Clinton
– Il Piano Trump protegge tutti i cittadini americani a basso o medio reddito e riduce loro le tasse. Come sostiene la Fondazione per il Fisco: «Il piano di Donald Trump consiste in un taglio fiscale per tutte le categorie di reddito, mentre quello di Hillary Clinton è un aumento fiscale a carico di alcuni gruppi specifici». La Fondazione per il Fisco ha calcolato che, in media, i contribuenti beneficerebbero di una riduzione pari a 1.818 dollari grazie al Piano Trump ma di un aumento di 176 dollari per effetto del Piano Clinton [Tax Foundation, 23 settembre 2016] – Il piano fiscale di Donald J. Trump favorirà la crescita e aumenterà i posti di lavoro di circa 2 milioni di unità, mentre quello di Hillary Clinton contrarrà l’economia, cancellando 300.000 posti di lavoro. Inserito nell’agenda di riforma economica generale, il piano di Trump creerà almeno 25 milioni di posti di lavoro nei prossimi dieci anni [Tax Foundation, 19 settembre 2016] e [Tax Foundation, 26 gennaio 2016].




COMMERCIO

Punti fermi
– Negoziare accordi commerciali trasparenti che creino lavoro negli Stati Uniti, aumentino i salari statunitensi e riducano il deficit commerciale del Paese.

Questioni-chiave
– Gli Stati Uniti hanno perso circa un terzo dei posti di lavoro nel settore manifatturiero da quando hanno ratificato il NAFTA [North-American Free Trade Agreement – 1994, ndt] e 50.000 aziende da quando la Cina ha aderito all’Organizzazione Mondiale per il Commercio [2001, ndt] [Economic Policy Institute, 23 aprile 2015].
– Il presidente Obama aveva promesso che l’accordo commerciale con la Corea del Sud avrebbe aumentato il nostro export verso Seoul di oltre 10 miliardi di dollari, generando circa 70.000 posti di lavoro. Ne ha cancellati quasi 100.000. Il nostro export verso la Corea del Sud non è affatto cresciuto mentre il nostro import proveniente da lì è balzato di oltre 15 miliardi di dollari, più che raddoppiando il nostro deficit commerciale con quel Paese [The White House] e [Economic Policy Institute, 5 maggio 2016].
– Il nostro deficit commerciale annuo di beni col Messico è cresciuto da un livello vicino allo zero nel 1993 a quasi 60 miliardi di dollari. Il nostro deficit commerciale totale di beni ha toccato quasi quota 800 miliardi di dollari lo scorso anno. La Cina è responsabile per circa la metà del nostro intero deficit commerciale. Quasi la metà del nostro deficit commerciale manifatturiero totale di beni col mondo è la risultante del commercio con la Cina [United States Census Bureau].
– Il deficit commerciale totale statunitense con i Paesi membri del Partenariato Trans-Pacifico (TPP) è costato oltre 2 milioni di posti di lavoro nel 2015. Le maggiori perdite sono state di gran lunga registrate nel settore dei veicoli e delle componenti auto, dove sono stati persi circa 740.000 posti di lavoro nell’ambito della manifattura. Si immagini quanti altri posti di lavoro si perderebbero se il TPP fosse definitivamente approvato [Economic Policy Institute, 3 marzo 2016].
– Il Partenariato Trans-Pacifico minerà la nostra economia e la nostra indipendenza:
1. Il TPP prevede una nuova commissione internazionale che assumerà decisioni a cui il popolo statunitense non potrà opporsi, rendendo più facile per i nostri competitor commerciali piazzare beni sovvenzionati nel mercato statunitense, mentre permetterebbe agli altri Paesi di imporre barriere al nostro export.
2. Il TPP riduce le tariffe sulle automobili di fabbricazione estera, ma lascia inalterate le procedure straniere che impediscono alle automobili di fabbricazione americana di essere vendute all’estero. Il TPP creerà addirittura una porta secondaria alla Cina per fornire componenti auto per i veicoli fabbricati in Messico.
– Secondo la Commissione sul Commercio Internazionale degli Stati Uniti, una migliorata protezione della proprietà intellettuale americana in Cina produrrebbe più di 2 milioni di nuovi posti di lavoro proprio qui, nel nostro Paese [The Commission On The Theft Of American Intellectual Property, Maggio 2013].

Critiche a Hillary Clinton
– Hillary sostenne Bill Clinton nella ratifica del NAFTA, sostenne l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, sostenne l’accordo commerciale “ammazza-lavoro” con la Corea del Sud e sostiene il Partenariato Trans-Pacifico [Donald J. Trump Press Release, 24 giugno 2016].
– Bernie Sanders ha affermato che Hillary Clinton «ha potenzialmente votato in favore di tutti gli accordi commerciali che i lavoratori di questo Paese hanno pagato con la perdita di milioni di posti» [Donald J. Trump Press Release, 16 giugno 2016].
– Hillary Clinton ha giocato «un ruolo determinante nella definizione del Partenariato Trans-Pacifico». Ha elogiato o favorito il TPP in 45 diverse occasioni, definendolo persino un «affare d’oro» [Bloomberg, 10 gennaio 2013] e [CNN, 15 giugno 2015].
– Il nostro deficit commerciale con la Cina è salito del 40% durante il periodo in cui Hillary Clinton era segretario di Stato. [Donald J. Trump Press Release, 24 giugno 2016].
– Come segretario di Stato, Hillary Clinton è rimasta a guardare mentre la Cina manipolava la sua valuta, aggiungendo altri 1.000 miliardi di dollari al nostro deficit commerciale, e si appropriava di centinaia di miliardi di dollari in proprietà intellettuale americana [Donald J. Trump Press Release, 11 agosto 2016].




POLITICA ESTERA

Punti fermi
– La pace attraverso la forza sarà al centro della nostra politica estera. Raggiungeremo un mondo stabile e pacifico con meno conflitti e più visione comune.
– Portare avanti gli interessi nazionali statunitensi fondamentali, promuovere la stabilità regionale e allentare le tensioni nel mondo. Lavorare col Congresso per abrogare del tutto i tagli automatici alla spesa militare [defense sequester] e destinare un nuovo budget per ricostruire il nostro esercito ora indebolito.
– Ricostruire il nostro esercito, rafforzare e migliorare l’intelligence e le capacità informatiche.
– Chiudere l’attuale strategia di nation-building e regime change.
– Assicurare che le nostre procedure di sicurezza e che la politica per i rifugiati tenga conto della sicurezza del popolo statunitense.
– Lavorare con i nostri alleati e amici arabi in Medio Oriente nella lotta contro l’ISIS.
– Perseguire operazioni offensive congiunte e di coalizione per sconfiggere e distruggere l’ISIS, la cooperazione internazionale per sradicare le loro fonti di finanziamento, espandere la condivisione di intelligence e le capacità di conflitto nel teatro informatico [cyberwarfare] per schiacciare e fermare le loro attività di propaganda e reclutamento.
– Sconfiggere l’ideologia del terrorismo islamico radicale, esattamente come vincemmo la Guerra Fredda.
– Stabilire nuove procedure di sorveglianza e rafforzare le nostre leggi sull’immigrazione per tenere i terroristi fuori dal territorio degli Stati Uniti.
– Sospendere, su basi temporanee, l’immigrazione da alcune delle più pericolose ed instabili regioni del mondo note per l’esportazione del terrorismo.
– Stabilire una Commissione sull’Islam radicale per identificare e spiegare ai cittadini statunitensi le convinzioni e le credenze profonde dell’Islam radicale, individuare i segnali di pericolo della radicalizzazione e scovare le reti che supportano l’estremismo nella nostra società.

Questioni-chiave
– L’ISIS è responsabile della morte di oltre 1.000 persone al di fuori dell’Iraq e della Siria [The New York Times, 16 luglio 2016] – Nel 2014, l’ISIS stava operando in circa sette nazioni. Oggi è pienamente operativo in 18 Paesi con aspiranti frange in altre sei regioni, per un totale di 24 affiliazioni [NBC News, 8 agosto 2016] – L’Iran, il maggiore Stato sponsor del terrorismo, ha ora beneficiato di 150 miliardi di dollari liquidi concessi dagli Stati Uniti, più altri 400 milioni di dollari a riscatto [The Wall Street Journal, 3 agosto 2016]

Critiche a Hillary Clinton
– Prima che l’amministrazione Obama-Clinton salisse al potere la Libia era stabile, la Siria era sotto controllo, l’Egitto era governato da un leader laico ed era un alleato degli Stati Uniti, l’Iraq stava vivendo una fase di riduzione delle violenze, le fazioni che poi avrebbero formato quello che oggi conosciamo col nome di ISIS erano prossime alla scomparsa e l’Iran era tenuto a freno dalle sanzioni economiche.
– Passando velocemente all’oggi: la Libia è in rovina, il nostro ambasciatore e altri tre coraggiosi cittadini statunitensi sono morti, l’ISIS ha conquistato una nuova base operativa, la Siria è nel mezzo di una disastrosa guerra civile, l’ISIS controlla vaste porzioni del territorio, una nuova crisi migratoria ora minaccia l’Europa e gli Stati Uniti, i terroristi hanno ottenuto un punto d’appoggio nel Deserto del Sinai, l’Iraq è nel caos e l’ISIS si muove liberamente. L’ISIS si è diffuso in tutto il Medio Oriente e pure all’interno dell’Occidente.
– La tabella di marcia elettoralistica del tandem Obama-Clinton per il ritiro dall’Iraq ha portato direttamente all’emersione dell’ISIS [Donald J. Trump Press Release, 28 luglio 2016].
– La difesa energica da parte del segretario Hillary Clinton dell’intervento in Libia per costruire un sistema democratico è considerata il peggior errore del presidente Obama. Inoltre, sotto la Segreteria Clinton, il tentato cambio di regime in Siria e il rovesciamento di Mubarak in Egitto hanno destabilizzato il mondo [Donald J. Trump Press Release, 28 luglio 2016].
– Il Dipartimento di Stato sotto Hillary Clinton ha ammesso cinque rifugiati ed un traduttore in seguito coinvolti in attività terroristiche e crimini associati [Donald J. Trump Press Release, 15 agosto 2016].




DIFESA

Punti fermi
– Lavorare col Congresso per abrogare del tutto i tagli automatici alla spesa militare [defense sequester] e destinare un nuovo budget per ricostruire il nostro esercito ora indebolito.
– Aumentare le dimensioni dell’Esercito degli Stati Uniti sino a 540.000 soldati in attività, come richiesto dallo Stato maggiore per poter portare avanti le missioni in corso.
– Ricostruire la Marina degli Stati Uniti raggiungendo l’obiettivo di 350 navi, così come raccomandato dall’imparziale National Defense Panel.
– Dotare l’Aviazione degli Stati Uniti dei 1.200 aerei da caccia di cui ha bisogno.
– Aumentare i Corpi dei Marine a 36 battaglioni.
– Investire in un serio sistema difensivo missilistico per venire incontro alle crescenti minacce attraverso la modernizzazione dei nostri incrociatori navali e mettendo in campo nuovi e moderni cacciatorpedinieri per neutralizzare le minacce missilistiche provenienti dall’Iran e dalla Corea del Nord.
– Accentuare le capacità nel conflitto informatico e richiedere una revisione generale da parte dei capi di Stato maggiore e di tutte le agenzie federali più importanti per identificare le nostre vulnerabilità informatiche, proteggere tutta l’infrastruttura fondamentale e produrre uno stato dell’arte della difesa e dell’attacco informatici.
– Finanziare questa necessaria ricostruzione del nostro apparato difensivo conducendo una completa verifica del Pentagono, eliminando le spese inappropriate, riducendo gli eccessi burocratici, recuperando le tasse insolute e concludere i programmi federali non richiesti e non autorizzati.

Questioni-chiave
– La dimensione del nostro Esercito è la più piccola dai tempi della Seconda Guerra Mondiale [ArmyTimes, 7 maggio 2016] – La dimensione della nostra Marina è tra le più piccole dai tempi della Prima Guerra Mondiale [Naval History and Heritage Command].
– La dimensione della nostra Aviazione è la più piccola nella nostra storia [The National Interest, 7 maggio 2014] – L’età media dei mezzi della nostra Aviazione è di 27 anni [Air Force Times, 19 gennaio 2016].

Critiche a Hillary Clinton
– Mentre lei era segretario di Stato, l’amministrazione Obama ha tagliato centinaia di miliardi di dollari nel settore della difesa e ha ignorato gli allarmi del loro stesso segretario alla Difesa riguardo il minimo budget militare necessario per la sicurezza nazionale [The Weekly Standard, 3 febbraio 2015].
– L’amministrazione Obama-Clinton ha provato ripetutamente a smantellare gli incrociatori navali, spina dorsale della difesa missilistica, persino mentre le minacce balistiche provenienti dall’Iran e dalla Corea del Nord crescevano velocemente [Navy Times, 19 aprile 2016].
– Sotto l’amministrazione Obama-Clinton, la Marina degli Stati Uniti è stata indebolita notevolmente mentre nelle regioni-chiave del mondo latitava qualsiasi portaerei statunitense per mesi ogni volta [Navy Times, 7 gennaio 2016]



Traduzione del programma politico a cura della Redazione

Fonte del programma politico in lingua originale qui




© Riproduzione riservata