Eritrea. Ambasciatore Fessahazion: Noi aggrediti dal TPLF e sanzionati

image_pdf


Nel corso dell’ultimo anno, la tensione nel Corno d’Africa è tornata a crescere dopo l’insurrezione dei gruppi ribelli nella regione del Tigray, che ha minacciato la stabilità non solo dell’Etiopia ma anche della vicina Eritrea. Per saperne di più abbiamo contattato S.E. Fessahazion Pietros, Ambasciatore eritreo in Italia, che ci ha parlato anche di cooperazione internazionale e spiegato le potenzialità logistiche ed infrastrutturali del Paese.


A cura della Redazione


Ambasciatore Fessahazion, bentornato su Scenari Internazionali. In questi ultimi mesi abbiamo assistito ad una recrudescenza del conflitto nel Tigray, nel nord dell’Etiopia, proprio accanto ai confini eritrei, provocato dal Tigray People Liberation Front (TPLF), che ha guidato ininterrottamente l’Etiopia dal 1991 al 2018, prima che l’attuale primo ministro Abiy Ahmed salisse al potere. Washington e Bruxelles hanno subito indetto nuove sanzioni contro l’Eritrea. Non sono mancate le polemiche. Che considerazioni può darne?

Nella regione del Tigray e in quelle limitrofe dell’Amhara e dell’Afar nel nord dell’Etiopia, ad oltre un anno e tre mesi dall’inizio delle ostilità, il 3 novembre 2020, tra il governo federale del primo ministro Abiy Ahmed Ali ed il gruppo ribelle del TPLF, continuiamo ad assistere ad una sempre maggiore escalation degli scontri, con drammatiche conseguenze per le popolazioni civili inermi nel Tigray e nelle altre regioni interessate dalle ostilità.

Il conflitto, alimentato dal sostegno delle potenze occidentali e dalla campagna mediatica al seguito ad un gruppo ribellatosi al governo centrale, che minaccia apertamente di smantellare l’Etiopia e di attaccare l’Eritrea, nonché dall’odio interetnico al quale fa troppo spesso ricorso il TPLF, ha radici profonde e lontane nel tempo.

Sin dalla sua formazione nel lontano 1975, il TPLF ha avuto come obiettivo non uno Stato etiope unitario, democratico ed inclusivo di tutte le sue oltre ottanta etnie, ma la secessione e la costruzione del “Grande Tigray indipendente” con l’annessione forzata di pezzi di territori appartenenti alle regioni etiopiche confinanti e all’Eritrea, e tanto di accesso al mare. Ne sono ennesima conferma le dichiarazioni recenti del suo portavoce, Getachew Reda, alla Egypt TV: «Il TPLF porterà l’Etiopia alla disintegrazione, come la Jugoslavia» e «Marceremo su Asmara in qualsiasi momento riterremo necessario».

Estromesso dal potere dalle grandi proteste popolari del 2018, dopo 27 anni di dominio incontrastato sulla vita politica ed economica del Paese, il TPLF sta portando avanti una guerra insensata e sanguinosa nel tentativo di riprendersi e consolidare nuovamente il potere ad Addis Abeba per poi, in una seconda fase, marciare all’assai improbabile conquista dell’Eritrea per attuare un regime change ed installare ad Asmara un governo fantoccio di sua obbedienza.

Dopo aver sferrato nottetempo un attacco contro il Comando del Nord dell’Esercito etiope di stanza a Mekelle con la complicità dei suoi comandanti [l’intera linea di comando era composta da tigrini], ed entrato in possesso del suo fornitissimo arsenale – col pretesto di «contrastare eventuali attacchi da nord» vi era stato depositato il 70% dell’intero arsenale dell’esercito federale – il TPLF ha ripetutamente lanciato razzi contro obiettivi in Eritrea [nessun danno alle persone, per fortuna] senza esser minimamente provocato. Oggi sappiamo che aveva pianificato addirittura 100 obiettivi da colpire in territorio eritreo.

L’intento del TPLF era quello di trascinare l’Eritrea nella sua folle guerra e portare il conflitto ad un’escalation su scala regionale e ad una conseguente internalizzazione. Suo malgrado, l’Eritrea non poteva rimanere con le mani in mano di fronte ad una così palese dichiarazione di guerra ed aveva tutto il legittimo e sacrosanto diritto di difendersi dall’irresponsabile quanto inaspettata aggressione. E quale Stato che si rispetti non l’avrebbe fatto?!

Quello che stupisce è che – ironia della sorte – l’Eritrea venga accusata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea di coinvolgimento nel conflitto e che le vengano addirittura imposte, come nel passato, sanzioni ingiuste semplicemente per essersi difesa dall’attacco del TPLF, il quale viene invece sfacciatamente incoraggiato a proseguire nella sua folle azione, mettendo così a rischio la stabilità del Corno d’Africa e l’integrità territoriale dell’Etiopia.

Sulla base delle fake news diffuse dagli attivisti tigrini all’estero, rilanciate con grande enfasi dai media occidentali compiacenti che tacciono sui crimini commessi dal TPLF, le forze di difesa eritree sono accusate, con denunce che non trovano credibili conferme, di «gravi violazioni dei diritti umani» che sarebbero state commesse contro la popolazione civile del Tigray. Sono accuse false, disseminate ad arte per secondi fini, omettendo sistematicamente le gravissime responsabilità del TPLF che si spaccia per vittima. Sono accuse che vengono mosse per giustificare il sostegno ad un gruppo che sta causando sofferenze alla sua stessa gente e, per questo, inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche dal Parlamento dell’Etiopia.

L’incessante campagna mediatica di disinformazione tesa a legittimare un gruppo ribelle senza scrupoli e le ingerenze esterne che ne fanno il gioco costituiscono un pericoloso precedente che rischia di avere effetti devastanti sulle popolazioni dell’intera regione del Corno d’Africa.


Tra il 10 e il 12 ottobre scorsi, l’Eritrea ha preso parte al Vertice Commemorativo di Belgrado per il sessantesimo anniversario della fondazione del Movimento dei Non Allineati, presso il quale Lei è stato rappresentante. Quali sono i rapporti tra Asmara e questo movimento? Quali le implicazioni politiche, economiche e commerciali di questa partecipazione?

I rapporti tra Asmara ed il Movimento dei Paesi Non Allineati (NAM) sono buoni e non poteva essere altrimenti. Come indica il suo nome, esso nasce come movimento di quei Paesi che non vollero allinearsi con l’una o l’altra delle due superpotenze di allora, gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica.

Condividendone gli ideali, l’Eritrea vi ha aderito nel 1995, cioè due anni dopo la sua indipendenza de iure, avvenuta dopo il referendum popolare dell’aprile 1993. Il Movimento, che oggi annovera 120 Stati membri tra Africa, Asia e America Latina, è nato nel 1961 con l’obiettivo principale della ricerca di una strategia comune per il mantenimento della pace mondiale e l’approfondimento di alcune importanti tematiche legate al processo di decolonizzazione, al disarmo e alla distensione, allo scopo di scongiurare i pericoli di nuovi conflitti in un mondo all’epoca caratterizzato dal bipolarismo e dalla Guerra Fredda tra due blocchi contrapposti, il Patto Atlantico ed il Patto di Varsavia.

A seguito dei mutamenti avvenuti col passare degli anni, ed in particolare con la caduta del Muro di Berlino nel 1989, il crollo dell’Unione Sovietica e quindi del Blocco dell’Est, il Movimento dei Non Allineati è venuto man mano assumendo altri obiettivi, come ad esempio la lotta al sottosviluppo, alla povertà e alla fame, la tutela dell’ambiente per contrastare il cambiamento climatico e per arginare il rapido avanzamento della desertificazione, senza comunque allentare lo sforzo atto alla ricerca, sempre più attuale, della pace nel mondo.

Alcune potenze emergenti, come ad esempio la Cina, l’India ed anche la Russia non solo fanno parte del Movimento come membri a pieno titolo o con lo status di osservatori, ma sono anche quelle che si sono mostrate più aperte e disponibili verso il sostegno concreto ai Paesi in via di sviluppo. Non a caso, infatti, la Cina e l’India sono ormai di gran lunga i principali partner commerciali di molti Paesi africani e, quindi, anche dell’Eritrea.

Al Vertice Commemorativo della Fondazione del Movimento dei Non Allineati hanno preso parte oltre un centinaio di Paesi, di cui 50 dal solo Continente africano, ed una ventina di osservatori invitati tra i quali le Nazioni Unite, l’Unione Africana, la Lega Araba ed altri ancora. Ciò dimostra non solo l’attualità delle tematiche vecchie e nuove portate avanti dal Movimento costituitosi 60 anni or sono per volontà di lungimiranti padri fondatori, ma anche l’importanza ad esso attribuita.


Veniamo proprio al rapporto tra Eritrea e Cina. A fine novembre l’Eritrea, un Paese che collega un ampio tratto costiero del Mar Rosso con l’entroterra del Corno d’Africa, ha aderito all’iniziativa Belt and Road (BRI). Qualche settimana fa, a seguito della visita ad Asmara del ministro degli Esteri cinese Wang Yi, Eritrea e Cina hanno dato vita ad un partenariato strategico. Cosa può dirci di più?

Gli ottimi rapporti tra lo Stato dell’Eritrea e la Repubblica Popolare di Cina non sono certo nuovi in quanto affondano le proprie radici nei primi anni Sessanta, quando ancora l’Eritrea era ben lontana dal riconoscimento internazionale come nazione sovrana ed era semplicemente un’area in cui era attivo un movimento di liberazione nazionale ai primi passi. I rapporti tra i due Paesi risalgono quindi a tempi lontani e non sospetti.

La novità sta nel fatto che la visita del ministro degli Esteri Wang Yi è la prima ad un così alto livello. Secondo la mia modesta opinione, è evidente che con quella visita, il governo cinese abbia voluto marcare la propria volontà di elevare lo stato dei suoi rapporti con l’Eritrea.

Recentemente, come è risaputo, il nostro governo ha aderito al cosiddetto progetto Belt and Road Initiative, il piano di sviluppo commerciale ed infrastrutturale del governo cinese, una versione moderna dell’antica Via della Seta. Dal momento che occupa oltre 1.200 km di costa sulla sponda occidentale del Mar Rosso, da Ras Kasar allo Stretto di Bab el-Mandeb, l’Eritrea viene ad assumere una posizione strategica di estrema importanza anche nella prospettiva del futuro sviluppo dell’iniziativa cinese, inteso a favorire gli scambi commerciali su scala globale.

Il Mar Rosso è infatti un tratto di mare dove transitano ingenti quantità di merci, compreso il petrolio mediorientale, da e per l’Europa e l’Estremo Oriente. E i due porti eritrei di Massawa ed Assab si trovano lungo questa importantissima via d’acqua che, verso nord attraverso il Canale di Suez, porta al Mediterraneo e quindi all’Europa mentre, verso sud, conduce all’Oceano Indiano e quindi ai Paesi dell’Africa sudorientale e dell’Asia. Questa sua posizione fa dell’Eritrea un Paese con un enorme potenziale dal punto di vista sia commerciale che geopolitico.

Ben consapevole di questa realtà, il governo eritreo intende istituire in una prima fase nel porto di Massawa e successivamente anche in quello di Assab, vaste aree di libero scambio, degli hub commerciali, il cui allestimento è in corso, a partire da quello di Massawa.

Durante la sua visita ad Asmara, il ministro degli Esteri Wang Yi ha avuto una serie di incontri con le massime autorità eritree, in primis il presidente Isaias Afwerki ed il ministro degli Esteri Osman Mohamed Saleh. I due governi hanno concordato di rafforzare la loro cooperazione bilaterale, in particolare in alcuni settori strategici dell’economia quali le infrastrutture portuali, le risorse minerarie e soprattutto lo sviluppo delle risorse umane, che la Cina ha dichiarato di essere disposta e pronta a sostenere.

Sarà un partenariato strategico dal quale sicuramente trarranno grandi benefici, si spera in un futuro non lontano, i popoli dei due Paesi.




© Riproduzione vietata