Etiopia, Uzbekistan e Nepal: il podio della crescita è in mano a tre Paesi in via di sviluppo

image_pdf

L’ultimo Global Economic Prospects della Banca Mondiale ha stilato un elenco delle economie più in forma previste per quest’anno. Al quarto posto c’è l’India e al sedicesimo, nonostante il rallentamento e le riforme in atto, la Cina, ma in questo 2017 a crescere di più in ciascuna regione del pianeta saranno soprattutto i più “piccoli”, a partire da Romania, Moldavia, Laos, Cambogia, Myanmar, Iraq, Panama, Repubblica Dominicana, Nicaragua, Gibuti, Tanzania, Senegal e Burkina Faso. Eppure, la ripresa appare ancora fragile: le incertezze internazionali e il debito pubblico mondiale potrebbero compromettere la situazione.

di Alex Gray
[World Economic Forum]


L’Etiopia è l’economia che crescerà di più nel 2017, secondo l’ultima edizione del Global Economic Prospects, pubblicata dalla Banca Mondiale. Il PIL etiopico è previsto in crescita dell’8,3% nel corso di quest’anno. Di contro, la crescita globale si attesterà a quota 2,7%. Il rapido sviluppo del Paese dell’Africa Orientale giunge sulla scia degli investimenti governativi nel settore infrastrutturale.
Tuttavia, i prestiti per finanziare questi grandi progetti statali hanno portato ad un aumento del debito pubblico, che è cresciuto di oltre il 10% del PIL tra il 2014 ed il 2016, e che ora supera il 50% del PIL. Molte economie di mercato emergenti registrano alti livelli di debito pubblico, tanto che la Banca Mondiale si è detta preoccupata a proposito della possibilità che questa situazione possa frenare la crescita. Il peggioramento delle condizioni di siccità potrebbe inoltre compromettere la dinamicità dell’Etiopia, secondo quanto sostiene il rapporto.

Le prospettive per l’economia mondiale
Il tasso di crescita globale è previsto al 2,7% sulla scia di una risalita della manifattura e del commercio, di una maggiore fiducia dei mercati e di una ripresa dei prezzi delle commodity. Il commercio è cresciuto di circa il 4% nel 2017, in rialzo rispetto al minimo post-crisi del 2,4% registrato nel 2016. In ogni caso, si prevede che resterà al di sotto dei livelli pre-crisi finanziaria.

Crescita nei mercati emergenti e nei Paesi in via di sviluppo
Come mostra questa mappa, la maggior parte dei Paesi asiatici e africani (di colore celeste) stanno segnando una crescita accelerata. I mercati emergenti e le economie in via di sviluppo dovrebbero crescere mediamente del 4,1%, cioè a ritmi molto più veloci delle economie avanzate.

Le economie più dinamiche
L’Uzbekistan è la seconda economia per ritmo di crescita, con un tasso stimato al 7,6% grazie al rialzo dei prezzi del petrolio, a favorevoli condizioni finanziarie globali, alla robusta crescita nell’Eurozona e, più in generale, a politiche di sostegno tra i governi di diversi grandi Paesi della regione.
Segue a ruota il Nepal, con una previsione di crescita pari al 7,5%. La performance del Paese asiatico è nettamente migliorata in seguito ad una buona stagione dei monsoni, agli sforzi per la ricostruzione dopo il terremoto del 2015 e alla normalizzazione dei commerci con l’India, sostiene la Banca Mondiale.
Al quarto posto per ritmo di crescita c’è proprio l’India, con un tasso stimato al 7,2%, in parte grazie ad un aumento dell’export e della spesa del governo.
Nella top-10 delle prestazioni ci sono poi Gibuti e Laos, in crescita del 7%, Cambogia, Filippine e Myanmar, del 6,9%. La Cina, nonostante il rallentamento e la nuova transizione economica, si piazza al 16° posto con un tasso di crescita previsto al 6,5%, sostenuto da massicci consumi e da una ripresa delle esportazioni.

Le economie avanzate
Eppure stanno migliorando anche le economie avanzate. Si stima che la crescita in questi Paesi raggiunga quota 1,9% nel 2017, stando alle previsioni della Banca Mondiale. L’Europa ha registrato una forte crescita, mentre gli Stati Uniti dovrebbero riprendersi nel 2017 e procedere a ritmi moderati nel 2018. Anche il Giappone è cresciuto all’inizio di quest’anno.

Una ripresa fragile
Nonostante i segnali positivi, la Banca Mondiale avvisa che la ripresa dell’economia globale è fragile. Le nuove restrizioni – come quelle promesse dal presidente Donald Trump – potrebbero danneggiare il commercio mondiale, così come l’incertezza sulle politiche potrebbe compromettere gli investimenti. A preoccupare la Banca Mondiale è anche il crescente debito pubblico, perché le condizioni del credito – come i tassi di interesse – potrebbero complicarsi, pregiudicando le economie nazionali.
Il debito pubblico mondiale è cresciuto del 12% del PIL [mondiale, ndt] a partire dal 2007, raggiungendo un valore pari al 47% del PIL nel 2016. Alla fine dell’anno scorso, il debito ha superato i livelli del 2007 di oltre il 10% del PIL in più della metà delle economie emergenti e in via di sviluppo. L’equilibrio fiscale – la capacità di un Paese di far fronte agli aumenti dei costi di finanziamento – è peggiorato rispetto al 2007 di oltre il 5% del PIL in un terzo di questi Paesi, stando ai dati della Banca Mondiale.
La Banca Mondiale afferma che i Paesi hanno ora bisogno di adottare riforme istituzionali ed economiche al fine di attrarre gli investimenti privati. Questo aiuterà a sostenere la crescita nel lungo termine. «La notizia rassicurante è che il commercio si sta riprendendo», ha detto il capo economista della Banca Mondiale Paul Romer, che ha aggiunto: «La preoccupazione è che gli investimenti rimangano deboli. In risposta a tutto ciò, stiamo spostando le nostre priorità di credito verso progetti che possano stimolare gli investimenti da parte del settore privato».

Le insidie nell’uso del PIL
Il PIL è stato largamente utilizzato nel corso degli anni per misurare il progresso economico. Eppure, molti sostengono che non sia un indicatore efficace. L’economista premio Nobel Joseph Stiglitz, la direttrice del FMI Christine Lagarde e il Professor Erik Brynjolfsson (MIT) hanno detto che il PIL è un indicatore di progresso insufficiente, chiedendo un cambiamento nelle modalità di misurazione dello sviluppo economico e sociale.
Le alternative potrebbero includere il calcolo dei posti di lavoro, del livello di benessere e della sanità. Il PIL ignora inoltre l’impatto di fattori importanti, come i cambiamenti climatici.


Traduzione a cura della Redazione
Fonte in lingua originale qui



© Riproduzione riservata