Il G20 di Amburgo detta le linee per la crescita ma per l’Italia c’è ancora tanto da fare

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Il 7 e l’8 luglio scorso, Amburgo, cuore industriale e logistico della potenza economica tedesca, ha ospitato una due-giorni di altissima politica internazionale in un clima non scevro da tensioni, scosso dalle manifestazioni di protesta di un agguerrito, sebbene non numeroso, corteo di varie sigle estremiste. Certo è che, rispetto ai G7 o G8 di diversi anni fa, sembra soffiare un vento completamente diverso. Al di là di ciò che resta della vecchia rabbia no-global, in Europa si va consolidando un clima di sfiducia, ben più trasversale, verso i partiti e le istituzioni tradizionali, mentre nuovi protagonisti della politica mondiale, come Xi Jinping, Emmanuel Macron, Narendra Modi, Justin Trudeau, Joko Widodo o Enrique Peña Nieto, fanno parlare sempre più di sé stessi, attirando la curiosità dell’opinione pubblica internazionale.

di Andrea Fais

«Manterremo i mercati aperti […] e continueremo a contrastare il protezionismo, incluse tutte le pratiche commerciali scorrette, e a riconoscere il ruolo degli strumenti di difesa commerciale a questo proposito». È forse questo il passaggio più significativo della dichiarazione finale congiunta sottoscritta dai leader delle principali economie del pianeta, riuniti ad Amburgo per l’annuale vertice del G20. Malgrado alcune resistenze da parte di Donald Trump, la politica mondiale procede nella direzione dell’apertura dei mercati, della facilitazione del commercio e degli investimenti, della digitalizzazione e della riduzione delle emissioni nocive, così come emerso lo scorso anno durante il summit andato in scena nella città cinese di Hangzhou.

Dopo l’innovazione, che aveva caratterizzato il G20 cinese nel 2016, è più nello specifico la digitalizzazione, vero tema portante della presidenza tedesca, a puntare i riflettori sulle potenzialità della logistica avanzata. A questo proposito è l’Italia a guadagnarsi una menzione di merito. «L’Italia sta implementando il Piano Industria 4.0, finalizzato a rafforzare la produttività e la competitività delle aziende locali, attraverso la promozione di investimenti e strumenti innovativi», recita il documento del Piano di Azione di Amburgo. Resta ovviamente da capire a che punto siamo e se gli obiettivi del governo potranno essere effettivamente raggiunti.

La padrona di casa, la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha confermato quanto espresso poche settimane fa al G7 di Taormina, mantenendo le distanze che separano la sua visione, e quella dell’Unione Europea, dalle intenzioni unilaterali della Casa Bianca in tema di commercio e di ambiente. Emblematico in questo senso è il fatto che il G20 ha preso nota della volontà degli Stati Uniti di uscire dagli Accordi di Parigi per la lotta ai cambiamenti climatici, sostenendo tuttavia che quegli accordi sono irreversibili.

Chi, invece, consolida una crescente capacità di attrazione internazionale è la Cina. Perfino Trump, già dettosi entusiasta dopo il summit bilaterale di Mar-a-Lago, in Florida dell’aprile scorso, ha affermato non solo di confidare molto nel sostegno di Pechino rispetto al dilemma nordcoreano ma anche di voler espandere il dialogo e la cooperazione con la Cina in tutti gli ambiti principali, incluso il commercio, dove comunque ci sarà da lavorare per superare le diffidenze non solo da parte di Washington ma anche e soprattutto di Bruxelles, che non ha ancora riconosciuto ufficialmente alla Cina lo status di economia di mercato dopo la scadenza, nel dicembre scorso, dei termini dell’accordo quindicennale firmato nel 2001, all’atto dell’ingresso della potenza asiatica nell’Organizzazione Mondiale per il Commercio.

Su questo versante, Xi Jinping incassa comunque l’appoggio di Vladimir Putin, che durante il vertice ha tuonato a sua volta contro le disparità commerciali: «Ci opponiamo al crescente protezionismo nel mondo. Il commercio illegale e le limitazioni finanziarie, con evidenti connotazioni politiche chiaramente indirizzate all’annientamento dei concorrenti, portano alla riduzione del giro d’affari». Come già dichiarato durante l’ultimo Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, Putin ha fatto riferimento, nemmeno troppo velatamente, alle sanzioni che da circa tre anni l’Unione Europea ha comminato ai danni di Mosca, come ritorsione per la crisi ucraina.

Divisi sulle questioni commerciali ed ambientali, i leader delle maggiori economie mondiali si sono invece trovati sostanzialmente concordi nel continuare a riporre la loro fiducia nel mix di politiche monetarie, politiche fiscali e riforme strutturali per sostenere la ripresa mondiale e rilanciare gli investimenti, tanto nelle economie avanzate quanto nelle aree in via di sviluppo. Nel dettaglio delle politiche monetarie, note positive provengono da Australia, Canada, Stati Uniti, Eurozona, Gran Bretagna, Sudafrica e Arabia Saudita. Osservato speciale è anche il Giappone, impegnato nella terza fase della sua politica di alleggerimento quantitativo e qualitativo (QQE), caratterizzata dal controllo della curva dei rendimenti, con l’obiettivo di portare quanto prima l’inflazione al 2%, dopo tanti anni di deflazione.

Per quanto riguarda le politiche fiscali, sono la Cina e la Turchia a mettersi in evidenza. Pechino «ridurrà la pressione fiscale sulle imprese per 380 miliardi di yuan e taglierà gli oneri amministrativi per 720 miliardi di yuan». Ankara, invece, sta estendendo il sussidio minimo ed esentando dalle imposte sul reddito personale e dall’imposta di bollo tutti i lavoratori sino alla fine di quest’anno. Argentina, Brasile e Messico stanno portando avanti «piani pluriennali di consolidamento fiscale per garantire la sostenibilità del bilancio e preservare la stabilità macroeconomica». Malgrado l’altissima pressione fiscale, l’Italia, secondo quanto rileva il Piano di Azione di Amburgo, «sta rafforzando la lotta all’evasione per garantire parità di condizioni per imprese e cittadini ed un sistema di tassazione più equo e favorevole alla crescita».

In tema di misure a sostegno della crescita e dell’inclusione, l’Unione Europea nel suo complesso cerca di estendere il Piano Europeo per gli Investimenti e di aumentare la flessibilità generale dei conti pubblici per sostenere l’occupazione, gli investimenti e la crescita. Nello specifico, la Francia, con Emmanuel Macron fresco di investitura presidenziale, «ha consolidato il suo già efficace dispositivo anti-corruzione al fine di allinearlo ai più elevati standard internazionali e ha compiuto passi in avanti per incrementare la trasparenza e modernizzare l’economia, misure che dovrebbero sostenere la produttività e l’attrattività».

Il Regno Unito ha deciso di destinare fondi complessivi per 4,7 miliardi di sterline alla ricerca e allo sviluppo entro il 2020-2021, al dichiarato scopo di consolidare la sua posizione di vertice nei campi della scienza e dell’innovazione. La Cina sta invece migliorando il clima per le imprese, mentre il Canada sta puntando sulla modernizzazione infrastrutturale. Se la Corea del Sud sta pensando a nuove assunzioni nel settore pubblico, specie per quanto concerne i servizi essenziali, il Giappone progetta di stimolare la competitività attraverso l’adozione di un piano di liberalizzazioni nei settori dell’energia, della sanità e dell’agricoltura. L’Indonesia sta promuovendo un programma di microcredito allo scopo di estendere l’accesso ai finanziamenti per i segmenti in difficoltà, specie tra quelle piccole e medie imprese che non possono essere supportate dalle banche pur presentando buone prospettive di mercato. Il Messico, da par suo, sta creando nuove zone economiche speciali nelle regioni meno avanzate per accrescerne la produttività, aumentarne l’occupazione e crearvi condizioni di benessere.

Senza scendere ulteriormente nei dettagli dei singoli Stati membri del G20 e dei Paesi ospiti speciali – tra cui due esempi assoluti di efficienza e competitività come Svizzera e Singapore – emergono tre direttrici principali che, grossomodo, tutti i protagonisti del vertice considerano centrali per sostenere la ripresa e la crescita: la semplificazione fiscale, la modernizzazione infrastrutturale materiale (trasporti e collegamenti) ed immateriale (connettività e digitalizzazione) e l’inclusione sociale. I diversi interventi e le misure messe in campo dai singoli governi nei rispettivi contesti nazionali cercano, per quanto possibile, di andare verso questa direzione.

Purtroppo, l’Italia è ancora indietro. Ha perso molto tempo a causa delle polemiche interne al principale partito di governo, emerse alla luce del sole in occasione del referendum confermativo costituzionale dello scorso dicembre. L’indebolimento del consenso del Partito Democratico, aggravato dal risultato delle recenti elezioni amministrative, e l’imminente scadenza della legislatura chiudono di fatto gli spazi per qualsiasi dibattito di ampio respiro sulle riforme strutturali, tanto per quel che riguarda la riduzione della pressione fiscale quanto per gli interventi di sostegno all’occupazione e alla famiglia.

La tassazione ha ormai raggiunto livelli vertiginosi. Stando ai più recenti dati di CNA, mediamente le piccole imprese italiane lavorano fino al 10 agosto dell’anno soltanto per coprire gli oneri fiscali. Contemporaneamente, il nostro welfare è debole, frammentato, fortemente provato dalle spese che lo Stato sta sostenendo per collocare sul territorio centinaia di migliaia di migranti economici, non integrati (o non integrabili) nel mercato del lavoro, e dunque del tutto improduttivi, che gli altri Paesi UE, in occasione dell’ultimo vertice di Tallinn, hanno già ribadito di non voler accogliere. L’Italia, insomma, torna a casa dal G20 con tanti compiti segnati sul diario.


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