ANTEPRIMA – Intervista all’Ambasciatore Razov: ‘Le sanzioni sono un’arma a doppio taglio’

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È ormai prossimo all’uscita La guerra dei mondi, il nuovo numero trimestrale (cartaceo) di Scenari Internazionali, interamente dedicato alla crisi russo-ucraina e alle sue conseguenze globali. Come anteprima on-line, proponiamo gratuitamente ai nostri lettori l’intervista rilasciataci dall’Ambasciatore russo in Italia, Sergej Razov, contenuta all’interno della pubblicazione. Ricordiamo a tutti che è già possibile pre-ordinare la rivista nel nostro negozio on-line.


A cura della Redazione


S.E. Sergej Razov, bentornato su Scenari Internazionali. Lo scorso 24 febbraio, la Russia ha avviato quella che ha definito come ‘operazione militare speciale’ in Ucraina, ritenendo ufficialmente falliti gli Accordi di Minsk II, che per oltre sette anni avevano impegnato le parti e le principali cancellerie europee nella ricerca di un compromesso soddisfacente per tutti. Cosa ha spinto il presidente Putin a prendere questa decisione?

Lei ha ricordato gli Accordi di Minsk: si è trattato di un documento importante, la cui attuazione è stata al centro degli sforzi per sette anni. Si noti che i nostri partner occidentali – Stati Uniti, Unione Europea e i coautori degli Accordi di Minsk, Francia e Germania – hanno costantemente parlato dell’importanza della loro attuazione, sottolineando la responsabilità della parte russa.

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Abbiamo richiamato l’attenzione sul fatto che il testo degli accordi non menzionava affatto la Russia, ma faceva riferimento alla responsabilità di Kiev, che doveva applicare una serie di disposizioni-chiave del documento, in contatto con le autorità delle repubbliche non riconosciute di Donets’k (DNR) e di Lugans’k (LNR).

La parte ucraina praticamente non ha implementato nulla. Rilegga questo testo, composto da due pagine e tredici punti, e sarà d’accordo con me. La responsabilità del fallimento degli Accordi di Minsk è assolutamente in capo a Kiev. Interpretazioni diverse a questo proposito non hanno alcun fondamento.

Per quanto riguarda le motivazioni che hanno spinto il presidente russo a decidere di lanciare un’operazione militare speciale, ne ha parlato egli stesso pubblicamente in diverse occasioni. Si è trattato di una decisione obbligata, legata sia al rifiuto degli Accordi di Minsk da parte di Kiev e alla necessità di proteggere i civili nella DNR e nella LNR, sia all’ormai nota reazione negativa degli Stati Uniti e della NATO di fronte alle proposte da noi avanzate alla fine del 2021 in merito alle questioni di stabilità e sicurezza strategica, che riguardano più direttamente gli interessi vitali della Russia.


La reazione dell’Unione Europea e degli Stati Uniti è stata molto forte, con l’applicazione di pesanti sanzioni ai danni della Russia, esclusa dal sistema internazionale dei pagamenti (SWIFT) allo scopo di colpirne l’economia e costringere le Vostre forze armate a ritirarsi dal territorio ucraino. Che effetti hanno avuto e stanno avendo queste misure sul mercato interno?

Sì, infatti le sanzioni sono tanto dure quanto controproducenti e, dal punto di vista legale, illegittime. Ovviamente hanno un impatto negativo sulla situazione economica della Russia, ma anche sull’economia europea, perché le sanzioni sono un’arma a doppio taglio che inevitabilmente colpisce sia il suo bersaglio che i suoi detentori. Per quanto riguarda gli indici statistici, ovviamente, sono note le previsioni di un rallentamento del tasso di crescita economica dell’Eurozona e di un aumento record dell’inflazione.

Se guardiamo la questione dal punto di vista legale, il blocco delle riserve valutarie russe nei conti delle banche occidentali per un ammontare di 350 miliardi di dollari non può essere considerato altro che un’indubbia rapina commessa alla luce del giorno. E che dire del sequestro senza processo e senza alcuna base legale dei beni dei cittadini russi, ad esempio, in Italia per un valore di circa 1 miliardo di euro, di cui molti media italiani sono incomprensibilmente orgogliosi di dare notizia? Che dire dell’inviolabilità legalmente sancita della proprietà privata?

Il presidente e il governo della Federazione Russa stanno adottando misure efficaci e, a mio avviso, adeguate per contrastare il regime di sanzioni che ci è stato imposto. Stiamo parlando in particolare della sostituzione delle importazioni (import substitution), che permetterà di compensare, almeno in parte, l’uscita dal nostro mercato di molte aziende occidentali.

Per inciso, in questo mercato operano da decenni con grande successo 400-500 aziende italiane che, a quanto so, non sono entusiaste della prospettiva di interrompere o congelare le proprie attività, ma comprensibilmente temono le cosiddette sanzioni secondarie di Stati Uniti e Unione Europea per il mancato rispetto del regime sanzionatorio anti-russo.

Si tratta dunque di un caso in cui la cosiddetta solidarietà euro-atlantica e la disciplina di blocco hanno un impatto diretto sugli interessi delle imprese italiane. Non sta a me giudicare cosa sia più importante per l’Italia.



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Tra i partner europei più esposti in questa situazione c’è indubbiamente l’Italia che, dopo aver pagato un prezzo piuttosto alto con le sanzioni e contro-sanzioni imposte nel 2014, ora rischia un esteso blocco delle attività produttive se Bruxelles dovesse decidere di interrompere improvvisamente i flussi delle forniture di gas dalla Russia. Secondo Lei sarà possibile riaprire il canale diplomatico con Roma qualora la fase più acuta del conflitto in corso dovesse essere superata?

Per quanto riguarda le forniture energetiche [l’Italia riceve dalla Russia circa il 40% del gas e il 10% del petrolio e dei prodotti petroliferi], la Russia è da decenni un partner affidabile sotto ogni punto di vista e le esportazioni russe costituiscono uno degli assi portanti della sicurezza energetica dell’Italia. Ora i partner occidentali, come punizione per l’indipendenza e l’autonomia della politica estera russa, introducono l’embargo sulle forniture e sul trasporto del petrolio russo in Europa e parlano della fine delle importazioni di gas dalla Russia in un prossimo futuro.

Chi ne ha bisogno e perché? Dopo tutto è chiaro che non sarà possibile sostituire rapidamente le forniture dei gasdotti russi, nonostante i negoziati dell’Italia in corso Algeria, Azerbaigian, Egitto, Angola e diversi altri Paesi.

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L’importazione di gas liquefatto richiederà sforzi lunghi e molto costosi per creare l’infrastruttura di rigassificazione, e porterà ad un aumento significativo dei costi dell’energia poiché il gas convogliato è per definizione più economico del GNL. Tutto questo si rifletterà, e si riflette già, sul costo del gas e dell’elettricità da esso generata, sia per scopi industriali che per le famiglie. Voi ovviamente conoscete le statistiche italiane in merito.

Per quanto riguarda la Sua domanda sul ripristino dei canali diplomatici con Roma, la Russia non è assolutamente responsabile del loro blocco. Non siamo noi i promotori del continuo degrado delle nostre relazioni bilaterali. Non è la Russia a congelare i contatti politici ad alto livello ed i meccanismi e i formati di interazione consolidati. Non è la Russia che incoraggia le sue imprese a ritirarsi dalla cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Non è stata Mosca a dare il via all’espulsione infondata e insensata dei diplomatici. Per non parlare della linea prevalente tra i media italiani nei confronti della Russia e della sua leadership, linea che difficilmente può essere qualificata come amichevole [ed è probabilmente la definizione più morbida].

In questa situazione storica estremamente difficile, ripeto sempre: è necessario guardare almeno un passo o due avanti. La storia non finisce oggi. Le crisi vanno e vengono, ma gli interessi nazionali restano. È importante mantenere un approccio equilibrato e ragionevole per non perdere quanto di positivo è stato costruito in decenni di cooperazione amichevole e partenariato.


Il via libera dell’UE all’invio di armi alle forze armate ucraine ha posto i Paesi aderenti in una condizione che potremmo definire di ‘cobelligerenza passiva’. L’Ungheria è di fatto l’unico membro dell’Unione ad aver scelto una strada diversa, privilegiando la propria sicurezza nazionale e il primato della diplomazia. Crede che questa posizione, aspramente criticata da Bruxelles, possa aprire la strada ad un cambio di passo anche in altri Paesi europei?

La logica secondo cui la massiccia fornitura di armi all’Ucraina sarebbe un mezzo per arrivare alla pace mi sembra quantomeno bizzarra. In sostanza si tratta di alimentare all’infinito la situazione di conflitto, di prolungarla e di moltiplicare le vittime e le distruzioni. Questa logica, a quanto mi risulta, è lungi dall’essere condivisa da tutti, anche in Italia.

Lasciando da parte il frasario della politica, il fatto è che le armi italiane saranno utilizzate per uccidere militari russi. E questo, ne converrà, introduce nelle nostre relazioni bilaterali un ulteriore elemento negativo che non possiamo ignorare.

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Inoltre non è possibile fare completa chiarezza su chi abbia effettivamente in mano queste armi. In effetti, oltre alle forze armate regolari, alle operazioni di combattimento in Ucraina partecipano formazioni nazionaliste e territoriali, che non sono sotto il controllo di Kiev o non lo sono completamente.

Dove finiranno queste armi e in quali regioni al di fuori dell’Ucraina saranno utilizzate in futuro sono domande a cui non c’è risposta.


Qualche osservatore sostiene che alcuni o tutti i territori del Sud-est dell’Ucraina saranno incorporati nella Federazione Russa, seguendo il destino della Crimea. In ogni caso, dopo la fine delle ostilità, come si rapporterà il Cremlino con queste regioni in termini di assistenza umanitaria, ricostruzione e sviluppo?

Non mi impegnerei in una discussione sul futuro stato e sulla struttura amministrativo-territoriale dell’Ucraina. In ogni caso, questo esula dalle mie competenze di ambasciatore in Italia. A quanto pare sarà possibile parlarne in dettaglio dopo il completamento dell’operazione militare speciale in Ucraina, i cui obiettivi e compiti sono stati ripetutamente dichiarati dal Presidente della Federazione Russa.




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